04 maggio 2016 12:52

Paese di emigrazione, l’Algeria è stata per molto tempo il luogo di provenienza degli “harraga”, i giovani che partivano in barca per raggiungere l’Europa. Benché non sia del tutto scomparso, questo fenomeno è diminuito. Il ritorno alla pace dopo la decennale guerra civile degli anni novanta, l’aumento del numero dei visti per la Francia e i controlli delle autorità hanno contribuito a scoraggiarlo.

Tuttavia da qualche anno il paese è diventato una tappa fondamentale per molti migranti subsahariani diretti in Europa. Le autorità parlano di ventimila migranti irregolari, mentre le associazioni che lavorano sul campo parlano di più di centomila migranti subsahariani che si trovano al momento in territorio algerino.

Partiti dal Camerun, dalla Nigeria, dal Mali o dalla Costa d’Avorio con l’obiettivo di raggiungere l’Europa, si sono fermati in Algeria. Ci rimangono per alcuni mesi o anche anni, il tempo di rimettere insieme un po’ di soldi per proseguire il viaggio. A volte rinunciano, scoraggiati dalle difficoltà.

Oltre alla vicinanza con l’Europa, dal 2011 altri fattori hanno reso l’Algeria una destinazione attraente per chi vuole partire: la paura delle violenze in Libia, il peggioramento della situazione economica in Tunisia, dove è più difficile trovare lavoro, ma anche la guerra in Mali.

In Algeria i migranti affrontano una società poco abituata alla dimensione multietnica, e dove il razzismo è forte. Di solito all’inconveniente di essere neri si aggiunge quello di essere cristiani in un paese musulmano. Inoltre non esistono procedure per ottenere documenti e regolarizzare la propria posizione. I migranti irregolari in Algeria non hanno diritti, sono invisibili. La maggior parte di loro vive nei quartieri periferici delle città, le donne sono isolate, non lavorano e i bambini non vanno a scuola.

Le foto di Bachir Belhadj sono state scattate a Orano, in Algeria, nel 2015.

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