Convocati dal presidente francese Emmanuel Macron, il 22 e il 23 giugno quaranta capi di stato e di governo si sono riuniti a Parigi per discutere un patto finanziario globale con l’obiettivo di riformare le istituzioni multilaterali e adattarle alle nuove sfide dell’economia e della crisi climatica. Le prove scientifiche dimostrano che l’emergenza climatica non può essere risolta con investimenti milionari solo nei paesi ricchi, ma dev’essere gestita a livello globale. Molti paesi emergenti non sono nelle condizioni di impegnare le somme necessarie, e anche quando ci provano il mercato gli impone un prezzo così alto che i progetti diventano impossibili. In questo contesto gli organismi multilaterali potrebbero avere un ruolo decisivo, anche perché i paesi meno sviluppati sono anche meno responsabili della crisi climatica.

Il vertice si è chiuso senza un accordo concreto, ma sono stati fatti dei passi avanti. Il Fondo monetario internazionale è disposto a stanziare cento miliardi di dollari di finanziamenti per i paesi emergenti, mentre la Banca mondiale ha proposto di includere nei suoi nuovi prestiti una clausola che permetterà di sospendere temporaneamente il pagamento del debito dei paesi colpiti da disastri di origine climatica.

Tuttavia i progressi appaiono insufficienti. Oggi almeno 52 paesi hanno difficoltà a pagare i debiti, e molti leader hanno chiesto di cancellarne una parte per affrontare le sfide climatiche. I dati confermano la gravità della situazione. Secondo uno studio delle Nazioni Unite l’aspettativa di vita si sta riducendo a livello globale a causa della pandemia di covid-19, della crisi del debito nei paesi emergenti e dell’aumento delle temperature. I paesi indebitati da più di tre anni potrebbero registrare nel prossimo decennio una mortalità infantile fino all’11,4 per cento superiore alla media. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati