Il 9 ottobre i ministri degli esteri dell’Unione europea si sono riuniti in videoconferenza per discutere della guerra tra Israele e Hamas. Il giorno prima il commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato, l’ungherese Olivér Várhelyi, aveva dichiarato che la Commissione avrebbe sospeso gli aiuti ai palestinesi, ma è stato smentito dallo sloveno Janez Lenarčič, commissario alla gestione delle crisi, secondo cui i fondi non sarebbero stati toccati. Con un comunicato la Commissione ha parlato di “una revisione urgente degli aiuti europei alla Palestina”. Infine Bruxelles, per salvare la faccia, ha precisato che non c’erano fondi da congelare perché non c’erano pagamenti pendenti.

Con questa risposta caotica, la Commissione ha dato un’immagine di sé che di certo non rafforza la sua pretesa di leadership geopolitica. Le dichiarazioni di Várhelyi hanno evidenziato il disaccordo nell’esecutivo comunitario. Alla fine della riunione del 9 ottobre, l’alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell ha detto che la maggioranza degli stati vuole continuare a cooperare con l’Autorità nazionale palestinese e che saranno aumentati gli aiuti alle vittime della guerra. La posizione ufficiale dell’Unione sul conflitto israelo-palestinese è il sostegno alla soluzione dei due stati. Per anni la politica europea è stata prudente e misurata, anche se di recente non sono mancati gli scontri con il governo Netanyahu. Mentre la presidente della Commissione Ursula von der Leyen si è affrettata a riconoscere il diritto di Israele a difendersi, Borrell ha aggiunto che va rispettato il diritto internazionale umanitario. In pochi giorni abbiamo visto in Europa una mancanza di coordinamento e l’emergere di posizioni differenti. In questo caso l’Unione è partita proprio con il piede sbagliato. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati