Questa lettera è stata firmata da più di mille scrittori, giornalisti, registi, attori, artisti e intellettuali ebrei, tra cui Judith Butler, Keith Gessen, Nan Goldin, David Grossman, Naomi Klein, Adam Shatz. L’elenco completo è su nplusonemag.com

Siamo scrittori, artisti e attivisti ebrei che respingono l’idea diffusa che qualsiasi critica a Israele sia intrinsecamente antisemita. Israele e i suoi difensori usano da tempo questa tattica per sollevare il paese dalle sue responsabilità, nobilitare l’investimento multimiliardario degli Stati Uniti nell’esercito israeliano, oscurare la micidiale realtà dell’occupazione e negare la sovranità palestinese. Ora questo insidioso bavaglio alla libertà d’espressione è usato per giustificare i continui bombardamenti su Gaza e mettere a tacere le critiche della comunità internazionale.

Condanniamo i recenti attacchi contro i civili israeliani e palestinesi e questa straziante perdita di vite umane ci rattrista profondamente. Ma pur nel nostro dolore, ci fa orrore vedere che la lotta all’antisemitismo è usata come pretesto per crimini di guerra con un dichiarato intento genocida.

L’antisemitismo è un aspetto terribilmente doloroso del passato e del presente della nostra comunità. Le nostre famiglie sono scampate a guerre, vessazioni, pogrom e campi di concentramento. Abbiamo studiato la lunga storia di persecuzioni e violenza contro gli ebrei e non sottovalutiamo il vero antisemitismo che mette a repentaglio la loro stessa sicurezza in tutto il mondo. A ottobre cadeva il quinto anniversario del peggior attacco antisemita mai commesso negli Stati Uniti: l’uccisione di undici fedeli nella sinagoga L’Simcha, a Pittsburgh, compiuto da un uomo armato convinto che gli ebrei fossero responsabili dell’arrivo dei migranti centroamericani. Così facendo disumanizzava entrambi i gruppi. Rifiutiamo l’antisemitismo in tutte le sue forme, anche quando si maschera da critica al sionismo o alle politiche di Israele. Ma riconosciamo anche che, come scriveva il giornalista Peter Beinart nel 2019, “l’antisionismo non è intrinsecamente antisemita e affermarlo sfrutta la sofferenza ebraica per cancellare quella palestinese”.

Troviamo questa retorica contraria ai valori ebraici, che ci insegnano a riparare il mondo, a mettere in discussione l’autorità e a difendere gli oppressi contro l’oppressore. È proprio in base alla dolorosa storia dell’antisemitismo e alle lezioni dei testi ebraici che difendiamo la dignità e la sovranità del popolo palestinese. Rifiutiamo la falsa scelta tra la sicurezza ebraica e la libertà palestinese; tra l’identità ebraica e la fine dell’oppressione dei palestinesi. In realtà, crediamo che i diritti degli ebrei e dei palestinesi vadano di pari passo. La sicurezza di ognuno dei due popoli dipende da quella dell’altro. Non siamo certo i primi a dirlo, e ammiriamo coloro che portano avanti questa linea di pensiero nonostante tanta violenza.

Alla minima obiezione

Capiamo perché spesso le critiche a Israele o al sionismo si confondono con l’antisemitismo. Per anni decine di paesi hanno abbracciato le definizioni di antisemitismo dell’International holocaust remembrance alliance. La maggior parte degli undici esempi di antisemitismo fatti da questa organizzazione riguarda commenti sullo stato di Israele, alcuni dei quali sono così aperti a varie interpretazioni da limitare le possibilità di una critica accettabile. Anche l’Anti-defamation league classifica l’antisionismo come antisemitismo, nonostante i dubbi di molti dei suoi stessi esperti. Queste definizioni hanno favorito i rapporti del governo israeliano con le forze politiche antisemite di estrema destra, dall’Ungheria alla Polonia agli Stati Uniti, mettendo in pericolo gli ebrei della diaspora. Per contrastarle, nel 2020 un gruppo di studiosi dell’antisemitismo ha pubblicato la Dichiarazione di Gerusalemme, offrendo linee guida più specifiche per distinguere l’antisemitismo dalle critiche e dai dibattiti su Israele e il sionismo.

Accusare di antisemitismo chiunque faccia anche la minima obiezione alla politica del governo israeliano ha permesso a lungo a Israele di sostenere un regime che organizzazioni per i diritti umani, studiosi, avvocati e associazioni palestinesi e israeliane considerano apartheid. Queste accuse continuano ad avere effetti politici spaventosi, come la repressione a Gaza e in Cis­giordania, dove il governo israeliano confonde l’esistenza del popolo palestinese con l’odio per gli ebrei in tutto il mondo. Nella propaganda rivolta ai propri cittadini e all’occidente, il governo israeliano afferma che le proteste dei palestinesi non hanno a che fare con il diritto alla terra, alla mobilità, con i diritti umani e la libertà, ma con l’antisemitismo. Nelle ultime settimane, i leader israeliani hanno continuato a strumentalizzare la traumatica storia degli ebrei per disumanizzare i palestinesi. In Israele le persone sono arrestate o sospese dal lavoro per aver pubblicato un post sui social media in difesa di Gaza e i giornalisti temono conseguenze se criticano il governo.

Se qualsiasi critica diventa una forma di antisemitismo, nell’immaginario popolare Israele si confonde con tutto il popolo ebraico. Nelle ultime due settimane abbiamo visto sia i democratici sia i repubblicani statunitensi difendere l’identità ebraica per giustificare il sostegno a Israele. Una lettera piuttosto vaga firmata da decine di personalità e pubblicata il 23 ottobre ripeteva a pappagallo la dichiarazione del presidente Joe Biden in difesa del popolo ebraico. Quando il centro culturale 92NY ha rinviato un incontro con lo scrittore Viet Thanh Nguyen, che aveva recentemente firmato un appello in cui chiedeva la fine degli attacchi israeliani a Gaza, nel comunicato ha messo in primo piano il fatto di essere un’“istituzione ebraica”. Come anche altri hanno osservato, i tentativi di inserire in un contesto storico gli attacchi del 7 ottobre sono giudicati come un ripudio della sofferenza ebraica piuttosto che un elemento necessario per capire e mettere fine alla violenza. 

L’idea che tutte le critiche a Israele siano antisemite alimenta la percezione che palestinesi, arabi e musulmani in genere siano intrinsicamente sospetti e debbano essere considerati agenti dell’antisemitismo, a meno che non neghino apertamente di esserlo. Dal 7 ottobre i giornalisti palestinesi stanno subendo una repressione senza precedenti. Un palestinese con cittadinanza israeliana è stato licenziato dall’ospedale in cui lavorava per un post su Facebook del 2022 in cui citava il primo pilastro dell’islam. I leader europei hanno vietato le manifestazioni a favore della Palestina e l’esposizione della bandiera palestinese. A Londra un ospedale ha tolto i disegni fatti dai bambini di Gaza dopo che un gruppo filoisraeliano aveva dichiarato che facevano sentire i pazienti ebrei “vulnerabili, perseguitati e vittimizzati”. In qualche modo, anche i disegni dei bambini palestinesi erano accompagnati da un’allucinazione di violenza.

I politici statunitensi hanno accolto con favore l’opportunità di confondere ulteriormente la sicurezza degli ebrei con l’incondizionato e indiscusso finanziamento militare a Israele, senza alcuna intenzione di favorire la pace. Il 13 ottobre il dipartimento di stato ha diffuso una nota interna in cui esortava i funzionari a non usare espressioni come “de-escalation/cessate il fuoco”, “fine della violenza/dello spargimento di sangue” o “ripristino della calma”. Il 25 ottobre il presidente statunitense Joe Biden ha messo in dubbio il bilancio delle vittime palestinesi, definendolo il “prezzo” della guerra contro Israele. Questa logica assurda continuerà a favorire sia l’antisemitismo sia l’islamofobia. Il dipartimento per la sicurezza nazionale di Washington si sta preparando a un aumento dei crimini d’odio contro ebrei e musulmani, che sono già cominciati.

Potere e sfruttamento

Per ognuno di noi l’identità ebraica non è un’arma da impugnare nella lotta per il potere dello stato, ma una fonte di saggezza generazionale che dice: la giustizia, la giustizia sempre cercherai. Tzedek, tzedek, tirdof. Ci opponiamo allo sfruttamento del nostro dolore e alla riduzione al silenzio dei nostri alleati. Chiediamo il cessate il fuoco, una soluzione per il ritorno a casa in sicurezza degli ostaggi che sono a Gaza e dei prigionieri palestinesi in Israele, e la fine dell’occupazione israeliana. Chiediamo inoltre ai governi e alla società civile degli Stati Uniti e di tutto l’occidente di opporsi alla repressione delle manifestazioni di sostegno alla Palestina.

E ci rifiutiamo di permettere che queste richieste urgenti e imprescindibili siano ignorate in nostro nome. Quando diciamo mai più, lo diciamo sul serio. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1538 di Internazionale, a pagina 48. Compra questo numero | Abbonati