Brodbeck & de Barbuat non sono i primi artisti a reinterpretare la storia della fotografia. Prima di loro, Catherine Balet nella serie Looking for the masters aveva fatto posare in modo ironico e provocatorio il designer argentino Ricardo Martinez Paz, che somiglia molto al pittore Pablo Picasso, evocando alcune immagini famose, scattate dalla fine dell’ottocento a oggi. Lo stesso procedimento, in una prospettiva più seria, è stato seguito da Sandro Miller per il progetto Malkovich, Malkovich, Malkovich: homage to photographic masters, in cui ha coinvolto uno dei più celebri attori statunitensi per ricreare ritratti iconici e rendere omaggio agli autori che hanno influenzato e ispirato il suo lavoro di fotografo. Cortis & Sonderegger nel progetto Icons hanno passato giornate intere a ricostruire in studio modelli tridimensionali di immagini storiche, per poi rifotografarli come delle messe in scena, per riflettere sul rapporto tra realtà e finzione. Tutti i lavori di questo genere hanno in comune la volontà di dare vita a una propria storia della fotografia. Le immagini scelte di solito fanno parte della nostra memoria collettiva: dal miliziano ucciso durante la guerra di Spagna fotografato da Robert Capa, all’ultima foto di John Lennon e Yoko Ono scattata da Annie Leibovitz, alla madre migrante di Dorothea Lange.

Stesso metodo di lavoro

Nella serie Une histoire parallèle cominciata nel 2022, Brodbeck & de Barbuat hanno tratto ispirazione dalle stesse immagini da cui sono partiti gli artisti appena citati, ma con un altro scopo e usando una nuova tecnologia, che al tempo stesso affascina e spaventa: l’intelligenza artificiale. “Dati i nostri recenti lavori sulle immagini di sintesi, ci sembrava interessante mantenere questo approccio virtuale alla fotografia, per interrogarci sulla rappresentazione del reale e sull’appropriazione delle immagini nell’epoca di internet”, hanno spiegato i due artisti.

Brodbeck & de Barbuat sono una coppia nella vita e nel lavoro. Hanno circa quarant’anni e in precedenza erano conosciuti come Lucie e Simon. Fanno progetti insieme dal 2005. Si sono diplomati nel 2015 alla scuola superiore di fotografia di Arles, in Francia, e poi hanno studiato due anni a Villa Medici, l’accademia di Francia a Roma.

The painter of the Eiffel tower, Paris, 1953 (Marc Riboud)

Le loro serie fotografiche riflettono sulla natura della fotografia, sulla produzione delle immagini, sulle tecniche, sul loro significato e sulla loro percezione. Hanno usato dei lunghi tempi di posa per rivelare gli effetti delle luci notturne e per mostrare le città deserte (Les mondes perdus, 2004-2008; Memories of a silent world, 2008-2011); hanno analizzato al microscopio cortecce d’albero, sabbia, cenere e altri elementi della natura mostrandoli come se fossero la superficie di un pianeta (Images of light and dancing spirits, 2014-2018); hanno creato al computer un personaggio femminile dall’inquietante aspetto umano (Les 1000 vies d’Isis, 2019-2021). Tutti questi lavori, che non sono né storie personali né reportage di stile documentario, riflettono sulla percezione del mondo e sulle difficoltà di comprenderlo, e s’interrogano sulla rappresentazione della realtà.

Migrant mother, Nipomo, California, 1936 (Dorothea Lange)

Il dialogo con la macchina

Viste le premesse, i due artisti non potevano ignorare l’intelligenza artificiale. “Per il progetto Une histoire parallèle volevamo studiare i nuovi strumenti di creazione di immagini e quindi l’attuale evoluzione tecnologica, mettendoli in parallelo a una storia inventata della fotografia. Lo scopo era riflettere sull’uso delle immagini d’archivio prese su internet come punto di partenza per crearne di nuove, e sulla creazione e l’appropriazione di queste immagini da parte dei programmi d’intelligenza artificiale. Abbiamo fatto un lungo lavoro di ricerca e creato un archivio di 35o immagini, che coprono un periodo di 150 anni (dall’invenzione del mezzo a oggi), rappresentative della storia della fotografia. Le abbiamo suddivise per autore, tecnica (lastra al collodio umido, macchina a pellicola, reflex digitale), formato, periodo, titolo (che contiene spesso importanti informazioni tecniche e geografiche) e contesto. Abbiamo trovato queste informazioni su internet e nelle opere di storia della fotografia conservate al centro Pompidou di Parigi”.

At the time of the Louisville flood, 1937 (Margaret Bourke-White)

Successivamente hanno usato il programma Midjourney (versione 3) inserendo dei prompts, dei comandi testuali, da cui sono partiti per creare la loro storia della fotografia. “Così è cominciato un dialogo scritto tra la macchina e noi, in cui cercavamo di arrivare a un risultato preciso: ritrovare un ricordo o una sensazione della fotografia originale, mantenendo però una certa distanza. Alla fine, delle 350 fotografie iniziali, solo 220 sono riuscite a sopravvivere al dialogo con Midjourney. Alcune non ci sembravano completamente riuscite, altre non si avvicinavano abbastanza all’universo del fotografo che le aveva scattate. Anche i meccanismi di autocensura del programma hanno rappresentato un ostacolo. Per esempio è stato impossibile realizzare dei nudi e quindi usare le foto di Helmut Newton o in generale la rappresentazione della figura femminile fatta da alcuni fotografi di moda, perché ne uscivano figure molto patinate, magrissime, venivano fuori immagini senza alcun senso”.

A sudden gust of wind (after Hokusai), 1993 (Jeff Wall)

Errori da esposizione

La macchina non è così “intelligente” come si potrebbe pensare e commette molti errori, come le mani con troppe dita, le folle che diventano caotiche o i volti troppo patinati. Per alcune immagini gli artisti hanno deciso di esporre diverse versioni, diverse tappe della ricerca, per sottolineare l’artificio.

The falling soldier, Cerro Muriano, 1936 (Robert Capa)

L’operaio della torre Eiffel di Marc Riboud è un buon esempio del modo di produzione dei due artisti. Il prompt, che era sempre scritto in inglese, era: “Black and white silver photograph, Leica m6 analog camera, 500 mm lens, kodak tri-x, gelatin silver print, worker on the Eiffel Tower painting its metal structure, in overall boater hat on his head, full-length portrait photograph, cigarette, notion of vertigo, wobbly movement, balance, view of Paris in background, Paris 1953” (fotografia in bianco e nero, Leica m6 macchina analogica, obiettivo 500 mm, kodak tri-x, stampa alla gelatina d’argento, operaio sulla torre Eiffel che dipinge la sua struttura metallica, con un cappello da barca in testa, fotografia di ritratto a figura intera, sigaretta, idea di vertigine, movimento traballante, equilibrio, vista di Parigi sullo sfondo, Parigi 1953”.

Black and White (Noire et Blanche), 1926 (Man Ray)

Il risultato è ovviamente sorprendente. “È un buon esempio delle difficoltà incontrate. Abbiamo sempre indicato un operaio che dipingeva sulla torre Eiffel, ma il programma ne ha sempre inserito una seconda sullo sfondo, non riconoscendo che l’operaio si trovava già sulla torre. Questo tipo di contraddizioni ci ha particolarmente interessato durante il lavoro, e anche se dopo vari tentativi siamo riusciti a togliere la torre sullo sfondo, l’immagine in cui ne comparivano due ci sembrava più pertinente e rappresentativa di questa tecnologia, addestrata a creare cartoline o illustrazioni”.

Black and White (Noire et Blanche), 1926 (Man Ray)

La grande forza di questo progetto è di tenersi lontano dagli sterili dibattiti intorno alla creazione di falsi reportage di stile documentario realizzati con l’intelligenza artificiale. Un esempio recente riguarda le immagini del fotografo statunitense Michael Christopher Brown, storico componente dell’agenzia Magnum, che afferma “illustrare non significa barare”. Con un programma d’intelligenza artificiale Brown ha realizzato la serie 90 miles, in cui ha creato delle immagini sull’esodo di massa dei cubani dall’Avana verso la Florida, negli Stati Uniti, un evento che non aveva avuto la possibilità di coprire.

Merced river, Yosemite national park, California, 1979 (Stephen Shore)

Ovviamente nel campo dell’informazione è necessario avvisare il pubblico sull’uso di immagini generate artificialmente, ma questa nuova tecnologia non va demonizzata. Le manipolazioni sono sempre esistite, come testimoniano i fotomontaggi di propaganda fin dalla prima guerra mondiale. Ma anche se in tempi di fake news la prudenza nel campo dell’informazione è necessaria, è chiaro che questo strumento diventerà sempre più efficace e sarà in grado di generare nuovi tipi di immagine.

È proprio quello che offre la proposta di Brodbeck & de Barbuat, che lo usano per analizzare il proprio metodo di lavoro e per proporre una finta storia della fotografia, basata su una fittizia memoria collettiva, con tutte le conseguenze che ne possono derivare. ◆ adr

Da sapere
La mostra

◆ La mostra di Brodbeck & de Barbuat Une Historie parallèle è esposta alla galleria Papillon di Parigi fino al 13 gennaio 2024. La mostra fa parte di Photo Days, un percorso in cui si riuniscono musei, fondazioni e festival della capitale francese, che ospitano mostre fotografiche fino al 3 dicembre.


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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati