Come molti millennial, Sarah Curley ha qualche tatuaggio. Sarah, un’assistente sociale sanitaria di Madison, nel Wisconsin, ha un mazzo di fiori selvatici e la parola greca sophrosyne (che significa “temperanza”) sul polso destro, alcuni versi di una canzone sulle costole, e le fasi lunari all’interno dell’avambraccio sinistro.

Poi c’è un 3 sulla nuca, che rappresenta lei e le sue due sorelle. Quando era al college è entrata in un negozio di tatuaggi e ha chiesto un numero semplice. “L’artista aveva uno stile molto vivace, molto dettagliato e un po’ macabro”, ricorda. Ma era l’unico disponibile quel giorno e lei era impaziente. “Ha fatto un buon lavoro, lo ha disegnato magnificamente”, dice. Ma il tatuaggio era “troppo spesso e più ornato di quanto avrei voluto”.

Dalla serie Tattoo tribù, Roma 2011-2015  (Paola Serino)

In qualsiasi altro momento della storia umana sarebbe finita lì. Un tatuaggio era per sempre. Ma da una decina di anni, la rimozione dei tatuaggi non è più una procedura costosa eseguita da un dermatologo e si può fare durante una passeggiata al centro commerciale di zona. Le rimozioni con il laser sono in aumento. Nel 2012 gli iscritti all’American society for dermatologic surgery hanno cancellato 63mila tatuaggi, nel 2019 164mila. Ancora di più sono quelli rimossi da specialisti nei centri estetici e negli studi medici.

Curley ha fatto tre sedute di rimozione laser. “Il tatuaggio si è molto, molto sbiadito”, dice. “Ha funzionato incredibilmente bene”. La rimozione è una novità meravigliosa per le persone come lei, che non sopportano più di avere qualcosa stampato sulla pelle. Un tecnico mi ha raccontato di aver cancellato una mezza dozzina di simboli dei doni della morte (dalla saga di Harry Potter) dopo i commenti di J.K. Rowling sulle donne trans. È una notizia ancora più bella per le persone con tatuaggi che limitano le possibilità di lavoro, gli ricordano un periodo passato in carcere o una relazione violenta, o che sono stati fatti durante una crisi causata da un disturbo mentale.

Ma è anche un profondo cambiamento per una forma d’arte e di cultura basata sulla permanenza. I tatuaggi possono essere decorazioni, elementi di stile, ma non sono come un taglio di capelli o un vestito. Fanno parte del corpo e sono destinati a durare tutta la vita. Se l’inchiostro può scomparire, può scomparire anche il loro significato.

I tatuaggi più antichi mai ritrovati appartenevano a un uomo, oggi noto come Ötzi, vissuto sulle Alpi italiane circa 5.300 anni fa. Ne aveva 61, tra cui braccialetti sui polsi e trattini neri su tutto il corpo. Lars Krutak, un antropologo che studia i tatuaggi, mi ha detto che questa pratica culturale risale quasi certamente a molto tempo fa, e si è sviluppata in modo indipendente in zone diverse del pianeta. Per generazioni, il popolo māori ha usato minuscoli scalpelli per creare splendidi tatuaggi facciali, una pratica che è tornata di moda negli ultimi decenni. Lo scrittore latino Solino, vissuto nel terzo secolo, racconta che i barbari della Britannia avevano sul corpo “varie figure e immagini di animali”, e che la tintura cresceva e cambiava insieme al loro corpo.

Dalla serie Tattoo tribù, Roma 2011-2015  (Paola Serino)

In molte comunità un tatuaggio era un segno di appartenenza o di successo: un uomo poteva riceverne uno dopo aver combattuto in battaglia. Lo stile e il disegno tendevano a essere dettati dalle pratiche culturali di una determinata comunità, più che dalle preferenze estetiche del destinatario. Il tatuaggio non era solo suo: “Queste tradizioni sono quasi sempre collegate a un passato mitico, ancestrale”. Krutak dice di aver chiesto cosa pensano della rimozione ad anziani di diverse comunità, tra cui i konyak naga dell’India e i kalinga delle Filippine, che dicevano invariabilmente: “Non so cosa rispondere. A noi non verrebbe mai in mente di rimuovere un tatuaggio”. Come a dire: perché diavolo dovrei farlo?

Addio Billy Bob

Oggi uno statunitense su tre ha almeno un tatuaggio. Più della metà delle donne tra i venti e i trent’anni ne ha uno. La pratica è diventata comune tra persone di qualsiasi etnia, livello sociale e grado di istruzione: uno statunitense non diplomato su quattro e un laureato su cinque sono tatuati. Lo stigma associato ai tatuaggi è superato, anche se non in modo uniforme. Oggi la maggior parte degli adulti senza tatuaggi dice di non pensare né bene né male di chi li ha. La controcultura è diventata cultura: enormemente diversificata, altamente decorativa, incline alle mode, espressione di autonomia e stile personale.

Con l’aumento della popolarità dei tatuaggi è cresciuta anche la capacità tecnica di rimuoverli. I medici usano il laser da più di cinquant’anni per farlo, dice Tina Alster, una dermatologa fondatrice del Washington institute of dermatologic laser surgery. La tecnica si chiama “fototermolisi selettiva”. Parti diverse del corpo assorbono quantità diverse di energia dai laser. I dermatologi usano lunghezze d’onda che sono assorbite dal pigmento ma non dal tessuto, scomponendo l’inchiostro e consentendo al sistema immunitario di rimuoverlo. In altre parole, il laser aiuta una persona a eliminarlo attraverso l’urina.

Con il passare degli anni i laser sono diventati molto più potenti e precisi, spiega Alster. I medici sono diventati più abili nell’individuare le migliori lunghezze d’onda e le tecniche più adatte ai diversi tipi di inchiostro e alle varie tonalità della pelle. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Sono abbastanza vecchia da ricordare che nei primi anni duemila Angelina Jolie si è tolta un tatuaggio dal bicipite. Era un drago con sopra il nome dell’ex marito, l’attore Billy Bob Thornton. L’immagine si era sbiadita ed era orribile da vedere finché non è diventata abbastanza chiara da permetterle di coprirla con il trucco. Non sarò mai più così stupida da farmi tatuare il nome di un uomo, aveva detto all’epoca. Adesso le celebrità si fanno cancellare i tatuaggi con risultati eccezionali e senza tanto clamore.

Oggi uno statunitense su tre ha almeno un tatuaggio. Più della metà delle donne tra i venti e i trent’anni ne ha uno

Detto questo, la rimozione dei tatuaggi con il laser non è magia. Richiede più trattamenti, a volte fino a dieci o dodici, a distanza di settimane o mesi l’uno dall’altro. È dolorosa, molto più che fare un tatuaggio: è come farsi versare olio bollente sulla pelle. A volte restano macchie e ombre, ma funziona abbastanza bene da spingere centinaia di aziende a offrire questo servizio a migliaia di clienti. Ed è più redditizio rimuovere i tatuaggi che farli.

Questo sta cambiando la cultura del tatuaggio. Forse il risultato più tangibile e immediato, dicono i tatuatori, è che modificarlo – trasformando il nome di un ex in un fiore o coprendo un fiore di nero – è diventato meno frequente. Oggi è molto più probabile che si ricorra al laser.

Ed è anche più probabile che si scelgano tipi di tatuaggio diversi. Per esempio, negli ultimi dieci anni sono diventati di moda i disegni a linee sottili e quelli fatti con minuscoli puntini, che tendono a sbiadire più facilmente e più velocemente rispetto a quelli eseguiti con linee pesanti e marcate. Diversi artisti con cui ho parlato mi hanno detto che i clienti giovani, in particolare, sembrano preferirli. Molti hanno in programma di modificarli in futuro in ogni caso.

In effetti, è l’atteggiamento dei giovani a essere cambiato di più: i ragazzi della generazione Z non considerano i tatuaggi qualcosa di permanente come quelli della generazione X. Sanno che la rimozione è difficile, dolorosa e imperfetta, ma anche che è possibile.

Scuole di pensiero

Mi aspettavo che i tatuatori con cui ho parlato fossero seccati o addirittura offesi da questo cambiamento. Invece molti difendono i clienti: in fondo il corpo appartiene a loro. Tra l’altro spesso i tatuatori sanno per esperienza cosa significa farsi un tatuaggio d’impulso e poi farlo rimuovere. E l’avvento della rimozione laser sembra aver aumentato la popolarità dei tatuaggi piuttosto che il contrario. “Per me è davvero importante creare qualcosa che sia ancora naturale e bello tra vent’anni”, dice Sasha Masiuk, dell’omonimo studio di tatuaggi a Los Angeles. “Ma no, non mi arrabbio se qualcuno vuole cancellarlo”.

Dopotutto, “permanente” non significa per forza “serio”. Certo, le persone si tatuano per ricordare la madre o un momento in cui hanno visto la morte in faccia, per creare arte con il proprio corpo o entrare a far parte di un’organizzazione criminale. Possono farlo anche perché i puma della Florida sono in pericolo, perché un appuntamento è andato benissimo o malissimo, perché siamo qui su questo piccolo pianeta e un giorno moriremo tutti, e allora perché no? “Una scuola di pensiero dice che è meglio aspettare fino a quando non trovi l’artista giusto e scegli la parte del corpo giusta”, mi ha detto Kip Fulbeck, un professore di storia dell’arte esperto di tatuaggi giapponesi. “Secondo un’altra, il corpo è tuo e ci fai quello che vuoi quando vuoi. Se lo odi, forse è solo una mappa della tua vita”.

Inoltre, anche il tatuaggio più permanente non dura per sempre. “È una forma d’arte molto strana”, dice Fulbeck. “Se faccio un’installazione o scrivo un libro, resta documentato. Un tatuatore invece crea il suo capolavoro, e poi questo esce e va ad abbronzarsi in un solarium o viene investito da un autobus”. ◆ bt

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Questo articolo è uscito sul numero 1539 di Internazionale, a pagina 64. Compra questo numero | Abbonati