◆ “Nel 2021 alcuni attivisti si sono incatenati agli alberi dell’East river park, a New York. Protestavano contro il progetto East side coastal resiliency, un’opera di protezione dalle inondazioni da circa 1,5 miliardi di dollari che avrebbe innalzato il livello del parco e rimodellato un tratto di quattro chilometri di costa”, scrive Timon McPhearson su Nature recensendo due libri con tesi contrapposte. Il primo, The living city di Des Fitzgerald, sostiene che l’ampliamento delle zone verdi in città è legato all’idea novecentesca della “città giardino”, un concetto obsoleto che vuole usare la natura come strumento per “migliorare la produttività dei lavoratori e creare servizi per le persone ricche, compresi gli alloggi per i professionisti della classe media”. McPhearson ammette che la riqualificazione urbana può essere uno strumento per espellere i residenti, ma aggiunge che la questione è molto più ampia. “I cambiamenti climatici sono ormai inevitabili. Le città attuali dovranno essere riadattate e riprogettate per far fronte alle condizioni del futuro”, scrive. Uno strumento è proprio l’uso del verde, auspicato in Age of the city di Ian Goldin e Tom Lee-Devlin. Secondo gli autori, dato che le città ospitano più della metà della popolazione mondiale e la maggior parte della produzione economica, proteggerle e migliorarle è la più grande sfida globale dell’antropocene. L’importante è coniugare sostenibilità ed equità, per esempio migliorando i trasporti o creando alloggi pubblici di qualità.

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Questo articolo è uscito sul numero 1552 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati