Profughi sudanesi a Metché, Ciad, 6 aprile 2024 (Patricia Simon, Ap/Lapresse)

A un anno dall’inizio dei combattimenti, le parti in conflitto in Sudan e i loro alleati hanno dato il via a un’altra battaglia: quella sugli aiuti umanitari. L’arma della fame è diventata centrale in un momento in cui ogni parte cerca d’impedire l’arrivo dei rifornimenti di viveri nelle aree controllate dagli avversari. Come sempre, a rimetterci sono i civili, soprattutto gli sfollati. Dal 15 aprile 2023 l’esercito sudanese e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) si contendono il dominio politico ed economico del paese. La guerra ha causato livelli record di fame, con 18 milioni di persone (tra cui 1,7 milioni di abitanti del Darfur) che rischiano di morire di stenti. Le Nazioni Unite hanno fatto sapere di poter dare assistenza solo al 10 per cento dei 48 milioni di abitanti.

Alla fine di marzo il Programma alimentare mondiale (Pam) ha fatto partire dal Ciad il primo convoglio umanitario in sei mesi diretto in Darfur, dopo che le autorità di Port Sudan (dove si è trasferito quel che resta del governo) avevano cancellato i corridoi umanitari dal Ciad. Ma è stata una breve parentesi. Il 27 marzo le Rsf hanno confiscato gran parte delle provviste destinate a un campo profughi del Darfur centrale. “Le parti in guerra tengono in ostaggio l’assistenza umanitaria per i loro calcoli politici e militari”, spiega l’analista sudanese Amjad Farid.

“Gli aiuti sono importanti, ma sono una goccia nell’oceano”, commenta Eero Wahlstedt, del gruppo non profit finlandese Soilwatch. La carenza alimentare, infatti, è dovuta in gran parte ai raccolti insufficienti. Le violenze, i mercati irraggiungibili e i crescenti costi di produzione hanno drasticamente ridotto le attività agricole. “Servono pressioni politiche per migliorare la sicurezza, l’accesso ai terreni e ai finanziamenti per l’agricoltura”, nota Wahlstedt.

Intanto gli aiuti sono più necessari che mai. “Se non riceviamo nulla, ci sarà una carestia e sarà uno scandalo mondiale”, dice Yacoub Muhammad, del coordinamento generale per i profughi in Darfur. “Aiuti e politica non vanno mischiati”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1559 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati