Ritratto di Alessandro I (George Dawe)

Qui il sentiero si perde (romanzo del 1955 uscito in Francia nel 1985) scritto da Antoinette Peské “discendente di principi mongoli” e dal marito Pierre Marty racconta la vita segreta dello zar Alessandro I, il sovrano che sconfisse Napoleone, ed è una folle fantasia romanzesca. Lo zar morì a Taganrog il 19 novembre 1825, ma non morì davvero, fece solo sparire le sue tracce. Dieci anni dopo, ai confini degli Urali, viene arrestato un uomo, Fëdor Kuzmič, che non risponde alle domande della polizia, chiede solo la grazia di essere mandato in colonia penale in Siberia. Kuzmič trascorrerà diversi anni da prigioniero, insistendo di farsi infliggere le punizioni dei suoi compagni. Dopo essere stato rilasciato visse a lungo e morì nel 1864 circonfuso da un’aura di santità. Questa fuga e sopravvivenza dello zar è leggenda o verità? Tolstoj, che andò a trovare il vecchio Kuzmič, e lo storico Maurice Paléologue ci credevano fermamente. Ripubblicato dopo una lunga assenza dalle librerie, il romanzo di Antoinette Peské e Pierre Marty fa solo allusioni furtive a questa convinzione, ma riempie l’immenso vuoto che costituisce la seconda vita di Alessandro I. E poiché di questo sorprendente destino non abbiamo quasi traccia, siamo invitati a fantasticare sui viaggi del vagabondo (forse) imperiale. Qui il sentiero si perde è un romanzo d’avventure che possiamo divorare come tale senza mai sapere se le mirabolanti tribolazioni descritte siano capitate proprio ad Alessandro I o a un girovago qualsiasi. I colori sono netti, precisi, brillanti, eppure sono quelli del sogno che sembra avere lo stesso peso, la stessa brillantezza della realtà. Questa è senza dubbio la bravura di Peské e Marty: tutte le terre in cui il nostro paria girovago ci accompagna sono reali, con le loro pietre, le loro erbe, le loro isbe o le loro iurte, i loro dervisci, le loro sabbie, i loro torrenti. E tuttavia il lettore capisce che sta seguendo i sentieri dell’immaginazione. Alla fine del libro compare un monaco buddista che insegnerà al protagonista saggezze orientali in grado di svelargli la ragione profonda del suo girovagare. Le ultime pagine, troppo dense, appesantiscono la lettura di quello che, alla fine, rimane uno straordinario romanzo d’avventure. Gilles Lapouge, Le Monde (1985)

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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati