“La notte offre infinite possibilità a chi vuole risolvere il conflitto tra l’oscurità e la luce. È un luogo in cui attraverso i miei pensieri e i miei sogni posso fuggire da chiunque, tranne che da me stesso. I sogni mi permettono di intravedere le strade del mio mondo interiore”. Le parole di Sibusiso Bheka sono chiare e poetiche come le sue immagini. Nato nel 1997 a Kathlehong, una township a est di Johannesburg, in Sudafrica, Bheka fotografa la notte a Thokoza, il quartiere in cui abita e che conosce a perfezione. Gli ricorda quello di Phola Park, dove è cresciuto con la madre e la nonna. Il suo racconto, però, non è un semplice reportage e nelle sue immagini di solito ci sono poche persone: quando appaiono, sembrano bloccate dalla luce o indossano una maschera. Queste figure diventano attori silenziosi di una misteriosa scena teatrale, in cui allo splendore dei colori si alterna una tensione che a volte può diventare inquietante.

Di notte le township sono considerate pericolose, soprattutto nel fine settimana, quando molti ricevono la retribuzione mensile, o la paga settimanale, e la spendono nell’alcol. I posti meno illuminati sono i più rischiosi. “È meglio fotografare dove c’è luce. Evito anche le zone in cui ci sono molte persone, perché è più facile farsi derubare”. Fino al 1990 in questi quartieri l’elettricità era un privilegio riservato ai bianchi. E, anche se la situazione oggi è cambiata, in alcune aree povere spesso manca ancora l’illuminazione pubblica.

Giocare fino a tardi

Eppure è al buio che Sibusiso Bheka ha deciso di scattare le sue foto: “Fotografare di notte è diverso dal fotografare di giorno. Succedono cose diverse. L’ambiente e l’atmosfera cambiano improvvisamente”. Inoltre, la notte gli fa venire in mente la sua infanzia. “Ero un bambino che amava giocare fuori fino a tardi. I genitori ci dicevano che c’erano i fantasmi. Era un modo per spaventarci o per farci capire quanto fosse pericoloso restare fuori a quell’ora. Così ho trasformato la mia esperienza infantile in un insieme di opere sulla comunità in cui sono cresciuto”. Nella prima serie, Stop nonsense, Bheka ha reso i fantasmi visibili. “È un progetto documentario in cui cerco di evocare i cambiamenti provocati dal muro costruito intorno alla casa di mia nonna. Nelle township sudafricane l’espressione stop nonsense indica un muro in mattoni e cemento, fatto per dare protezione e per evitare conflitti con i vicini. Ho scattato le mie foto a Phola Park, una township di Thokoza, a est di Johannesburg, creato all’inizio degli anni cinquanta con il Native urban area consolidation act, una norma che prevedeva il trasferimento della popolazione nera in alcune aree della città. Ci vivono gruppi etnici diversi, ma il più numeroso è il popolo xhosa, che è il più povero. Ho cominciato il progetto alla fine del 2015, quando il muro è stato costruito. Ero affascinato dalla trasformazione improvvisa che aveva provocato. Le cose non erano più le stesse, soprattutto di notte. Il cortile aveva un atmosfera diversa; al di là della barriera rappresentata dal muro, esisteva un’animata comunità notturna. In questo lavoro ho catturato quello che succedeva, ma ho anche cercato di ricreare, attraverso scene pittoriche, gli eventi avvenuti prima del muro, così come quelli che avevano portato alla sua costru­zione”.

Nella serie, realizzata come le altre con lunghi tempi di posa, un treppiede e senza flash, si trovano già alcuni elementi dello stile di Bheka: le grandi superfici di colore che strutturano lo spazio e le persone; le figure, mosse, indistinte, duplicate, che danno l’impressione al tempo stesso di disordine e di annullamento, di scomparsa e d’instabilità.

In cerca di luci e colori

Nella serie intitolata At night, they walk with me, Bheka evoca i fantasmi attraverso un’assenza visibile, in modo più radicale. Il fotografo è andato in giro per le strade, di solito accompagnato da un amico per motivi di sicurezza, alla ricerca del posto giusto per comporre dei quadri luminosi molto strutturati, che usano una geometria basata sul colore, mantenendo la fonte luminosa fuori dall’inquadratura. Non ha più puntato alla diga dove andava da bambino a catturare i pesci con gli amici né ai pezzi di ferro che raccoglieva per poter racimolare qualche soldo per andare in sala giochi. Sibusiso Bheka è costantemente a caccia di atmosfere e di forme, e le sa mettere insieme molto bene.

Anche se una casa di cui si vede solo il muro cieco diventa, ai limiti del surrealismo, rosso intenso, di solito le tonalità che usa sono più orientate verso i gialli ocra. L’obiettivo è costruire uno sfondo quasi futurista o comunque irreale, anche quando un orsacchiotto di peluche o una bacinella per i panni abbandonata indica che c’è o c’è stata una presenza umana. I lunghi tempi di posa creano forti contrasti cromatici e sono capaci di dare un carattere astratto alle immagini. Le ombre degli edifici o delle persone aggiungono una dimensione diversa e al tempo stesso permettono la costruzione grafica delle immagini. “Quando mostro le foto alle persone che abitano nel mio quartiere non credono che quella ritratta sia veramente Thokoza”, racconta.

Bheka ha scoperto la fotografia al liceo, nel 2012, grazie al Project of soul and joy, un programma di orientamento professionale attraverso la fotografia organizzato da più di dieci anni dal fondo Rubis mécénat, a Thokoza. Ha poi studiato fotografia all’università di tecnologia di Vaal grazie a una borsa di studio, laureandosi nel 2018. In seguito ha cominciato a lavorare per Live Magazine come fotografo part-time. Non nasconde l’influenza che ha avuto su di lui il cinema: “Offre molto in termini di immaginazione e a volte la fantascienza, in quanto forma narrativa, ha nelle proprie storie una sorta di messaggio sociale, politico e culturale. Nel mio lavoro cerco anche di sfruttare determinate qualità del cinema come i colori e le luci, per parlare della nostra società”.

Sibusiso Bheka ha definito in modo chiaro gli aspetti fondamentali della sua fotografia: “La luce e i colori sono i mezzi con cui esprimo i miei sentimenti. Mi permettono di dire quello che non posso spiegare a parole”. E al di là della coerenza e delle scelte estetiche, questa fotografia si confronta con la società sudafricana contemporanea, di cui a suo modo è un testimone. ◆ adr

Le foto di queste pagine sono tratte dalla serie Stop nonsense, che è ancora in corso, e dalla serie At night, they walk with me del 2014.

Da sapere
Le mostre

◆Il lavoro di Sibusiso Bheka è stato esposto in Sudafrica e all’estero. Nel 2013 ha fatto parte della mostra collettiva In Thokoza, organizzata dal fondo culturale Rubis mécénat presso la Ithuba arts gallery di Johannesburg, in Sudafrica. Nel 2014 era nella mostra collettiva Visions of Africa, all’interno dell’Addis foto fest, in Etiopia, e nel 2015 nella mostra Free from my happiness, organizzata da Rubis mécénat e curata da Tjorven Bruyneel e Bieke Depoorter nell’ambito del Ghent international photo festival, in Belgio. Bheka è rappresentato dalla galleria Afronova, che nel 2023 ha esposto il suo lavoro all’Akaa african art fair di Parigi.


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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 62. Compra questo numero | Abbonati