Era il 1969, nel bel mezzo del golfo di California. Sopra, un cielo infuocato; in basso, il mare blu per chilometri in ogni direzione, interrotto solo dalla presenza di una nave per la ricerca oceanografica. A bordo, un uomo che camminava verso il parapetto osservò l’acqua, rimase qualche momento a riflettere, poi si lasciò scivolare dal fianco della nave. L’uomo era Bill Hamner.

Quel giorno Hamner avrebbe inconsapevolmente messo in moto una serie di eventi che, decenni dopo, avrebbero ispirato numerosi articoli sul National Geographic e la nascita di una meta turistica internazionale. Quegli eventi avrebbero prodotto un cambiamento fondamentale nel modo in cui gli scienziati concepiscono la biologia in oceano aperto. Hamner allora non sapeva niente di tutto ciò. In quel momento stava annaspando, nel vero senso della parola e in quello figurato. In quel giorno caldissimo, nell’afa soffocante del ponte, cercava disperatamente qualcosa di significativo a cui dedicare la sua carriera.

In realtà, non avrebbe neanche dovuto essere a bordo di quella nave. Di formazione ornitologo, si era dedicato soprattutto a comprendere le dinamiche profonde della vita degli uccelli. All’epoca aveva già chiarito alcuni meccanismi fisiologici che regolano i cicli riproduttivi degli uccelli in relazione al sorgere e al tramontare del sole. Svolgeva questi studi di ornitologia in qualità di professore associato presso l’università della California a Davis, una posizione che offriva la possibilità di una cattedra. E una cattedra avrebbe significato sicurezza per sua moglie e i suoi due figli. A un certo punto, però, Hamner si riempì di bolle sul corpo e cominciò ad avere attacchi d’asma. Dopo anni di contatto ravvicinato, il ricercatore aveva sviluppato una devastante allergia agli uccelli.

Così dovette liberare i suoi ciuffolotti messicani, i suoi storni e i suoi bobolink. Ma cosa avrebbe fatto dopo? Provò ad allevare meduse, ma si ritrovò con vasche piene di una viscida gelatina urticante. Allora tentò con le falene, ma rimediò un intero carico di mele marce. Ora era lì. Si trovava in quella spedizione grazie a un favore dell’oceanografo che la guidava. Sperava che quel viaggio potesse dargli un’idea su cosa fare in futuro.

Nel periodo trascorso a bordo Hamner osservava i suoi colleghi biologi camminare in giro per il ponte e calare enormi reti con grandi gru metalliche. Le reti affondavano nei gelidi abissi, dove venivano trascinate per ore prima di essere di nuovo tirate in superficie. Il contenuto che se ne estraeva era una poltiglia di frammenti dalla consistenza melmosa. Non c’era un solo animale intatto. I biologi svolgevano il loro lavoro come se fosse normale ricomporre le creature dell’oceano raccogliendone letteralmente i pezzi sparsi in dei secchi. Di fatto era così che si conduceva gran parte della ricerca biologica marina in oceano aperto. Alcuni ribelli come William Beebe – il primo essere umano ad attraversare le profondità marine in un sommergibile – insistevano sul fatto che bisognava stare in acqua, ma la maggior parte dei biologi solcava l’oceano comodamente sul ponte di una nave, pescando gli organismi marini per poi esaminarli a bordo. Hamner non riusciva a lavorare in quel modo.

Oggi lui e la moglie Peggy, che è stata al suo fianco per tutta la sua carriera, sono due ottantenni in pensione. Anche se vivono lontano dall’oceano, a Northport, in Alabama, la loro casa è piena di sculture, fotografie e disegni dei decenni trascorsi sull’acqua. Riflettendo sulle sue motivazioni, Hamner mi ha detto: “Per studiare la storia naturale di qualsiasi animale nel suo ambiente, bisogna osservarlo indisturbato nel corso del tempo”. Hamner aveva osservato gli uccelli in natura e li aveva studiati nelle voliere. Doveva vedere l’animale vivente nel suo complesso. E in quella giornata torrida nel golfo del Messico, doveva assolutamente scendere dal ponte infuocato della nave. Infilata la maschera, si tuffò nell’oceano e cominciò a darsi un’occhiata intorno.

Organismi simili a ciotole traslucide, che Hamner riconobbe come meduse, vibravano attraverso la corrente. Ctenofori a forma di calici senza stelo scintillavano con motivi arcobaleno. Gli occhi di Hamner si posarono su delle creature a forma di barile, all’incirca delle dimensioni di una mano, che pulsavano ritmicamente contraendosi e rilassandosi come una valvola cardiaca. Hamner li riconobbe vagamente: nel suo laboratorio aveva un barattolo contenente qualcosa di simile. L’etichetta diceva “salpe”, il nome di un gruppo di invertebrati strettamente imparentati con i vertebrati. Ma questa salpa era liscia e robusta, completamente diversa da quel mucchio maciullato di gelatina che stava nel contenitore.

Bruce Robison, un amico che faceva parte della spedizione, lo raggiunse in acqua. Robison era un biologo marino ma, a differenza di Hamner con i suoi uccelli, era rimasto molto distante dalla vita che studiava, usando le reti come facevano i suoi colleghi. Fu solo quando Hamner salì a bordo che qualcun altro ebbe l’idea di tuffarsi in mare aperto e immergersi nel mondo che studiavano. “Esiste l’espressione ‘sintonia con l’organismo’”, dice Michael Dawson, biologo marino dell’università della California a Merced. “È ciò che ha portato Bill”.

Hamner e Robison avvistarono un pesce fluttuante nell’acqua che li guardava nuotare. Osservando più da vicino si accorsero che il pesce si trovava all’interno di una salpa, nascosto nella camera centrale aperta mentre il barile trasparente pulsava intorno a lui. Come se anche quel pesce fosse un esploratore, a bordo di un sottomarino-salpa.

Hamner tornò a galla con un barattolo che conteneva un animale simile a una farfalla

“Robison tornò alla nave”, ricorda oggi Hamner. Quel giorno giurò a se stesso che avrebbe abbandonato per sempre le reti. In seguito fu assunto dal Monterey bay aquarium research institute, dove diventò un pioniere nello studio dell’ecologia delle zone pelagiche con veicoli azionati a distanza. Hamner ne rimase incantato. Se appena sotto la superficie si poteva osservare tutta quella vita, quante altre cose potevano esserci là fuori? Aveva trovato qualcosa di nuovo a cui dedicare la vita.

Quando tornò a casa, Hamner raccontò tutto a Peggy, che a sua volta aveva sempre voluto essere un’esploratrice. Peggy aveva studiato da bibliotecaria scientifica, ma dopo il matrimonio aveva lasciato quel percorso per seguire il marito, come all’epoca faceva la maggior parte delle donne. In realtà sognava di viaggiare attraverso le foreste e navigare per acque inesplorate. Bill e Peggy escogitarono un piano: avrebbero visitato quanti più laboratori marini possibili, avrebbero scelto quello migliore per le immersioni in mare aperto e avrebbero sviluppato un metodo per studiare la vita tra la superficie e le profondità dell’oceano, una zona che i marinai chiamavano “acque oceaniche”. Alla fine si stabilirono nella piccola isola di Bimini, alle Bahamas, al largo della costa di Miami, in Florida. Reclutarono un gruppetto di studenti e raccolsero tutto il denaro che riuscirono a trovare, dalle borse di studio per studenti ai finanziamenti della National science foundation. Poi, con i loro due bambini piccoli al seguito, partirono per Bimini.

Villetta bifamiliare

Una volta arrivati sul posto, scoprirono che nell’alloggio per i visitatori del Lerner marine laboratory non c’era posto per loro. In preda alla disperazione, affittarono metà di una villetta bifamiliare nelle vicinanze. Gli Hamner con i bambini dormivano in una stanza, gli studenti in un’altra: uno di loro si stendeva sotto le sedie del salotto, in modo che nessuno potesse calpestarlo durante la notte. Il padre di Hamner, che li aveva accompagnati per aiutarli con i nipoti, dormiva in veranda. Alla fine si trasferirono in una casa ancora in costruzione. A corto di fondi, gli studenti gironzolavano sul molo per la pesca sportiva chiedendo ai pescatori di regalargli il pescato. Durante il giorno, caricata una piccola barca con la loro attrezzatura subacquea, cominciarono a sperimentare le immersioni in mare aperto. Anche qui, l’esordio fu infelice. “Uno squalo mangiò la mia cintura di zavorra”, ricorda Alice All­dredge, un’ex allieva di Hamner. La cintura le era caduta e stava nuotando per recuperarla, quando uno squalo passò poco sotto di lei e la inghiottì in un boccone. Un altro squalo colpì Peggy Hamner alla schiena. A quanto pare, gli squali erano un problema. Il gruppo decise di portare nelle immersioni lunghe mazze di legno, che usava per allontanarli.

Lentamente, gli Hamner e gli studenti svilupparono un metodo per le immersioni in mare aperto. Elaborarono una tecnica che prevedeva l’uso di una corda zavorrata agganciata a un galleggiante e un attrezzo che loro chiamavano il “trapezio”. Chi andava in immersione fissava le sue corde al trapezio centrale, mentre una persona restava in superficie a osservare tutti gli altri, controllando che nessuno restasse incagliato o si sganciasse, s’immergesse troppo in profondità, si allontanasse o venisse attaccato da uno squalo. E poiché gli animali in mare aperto sono quasi completamente trasparenti, i ricercatori verificarono che il miglior modo per individuarli era guardare leggermente verso l’alto, in direzione del sole, alla ricerca delle ombre prodotte dalle creature che passavano davanti alla luce.

Un giorno Bill Hamner tornò a galla con un barattolo che conteneva un animale simile a una farfalla. Lo diede a uno dei suoi studenti, Ron Gilmer, che studiava i gasteropodi. “Oh mio dio”, disse Gilmer, afferrando il barattolo. “Secondo me è una gleba!”. Le gleba erano, e sono tutt’ora, tra i molluschi più sfuggenti dell’oceano. Hanno due estensioni del corpo che sbattono come ali, e un guscio chiaro cristallino che somiglia a una pantofola di vetro. Solo pochissime persone ne hanno vista una, e quasi nessuno ne ha osservata una viva. Nei giorni successivi Gilmer documentò per la prima volta la gleba allo stato selvatico, scoprendo qualcosa di inaspettato. “Si nutrono attraverso il muco”, mi ha spiegato. “Enormi palle di muco”. Trascinati dalle correnti, gli esemplari del genere gleba pendono dalla base di un grande palloncino di bava di lumaca. Navigano in questo modo fin quando il muco non ha raccolto una massa di particelle commestibili in sospensione. A quel punto il mollusco trangugia il suo pasto, con tutto il muco. Nessuno aveva mai visto una lumaca alimentarsi in questo modo. Per giorni, ogni volta che Gilmer usciva in mare osservava interi banchi di gleba muoversi con la corrente. L’acqua brulicava di questi molluschi simili a farfalle che svolazzavano appesi ai loro palloncini trasparenti. Poi un bel giorno, come se non ci fossero mai stati, sparirono tutti.

Specie pelagiche

In seguito gli Hamner e i loro studenti continuarono a descrivere in che modo le specie pelagiche si spostano andando alla deriva con correnti che cambiano repentinamente, trascinando con sé gli animali in una zona per poi portarli via da un giorno all’altro. Gilmer pubblicò un articolo sulla gleba sulla prestigiosa rivista Science. Hamner insistette sul fatto che Gilmer fosse l’unico autore (una generosità impensabile oggi, in un’epoca in cui la cultura accademica vuole il nome degli scienziati più affermati tra gli autori di un articolo, anche quando non hanno dato un contributo particolarmente significativo). Larry Madin, un altro studente di Hamner, in seguito scoprì che le salpe, quei barilotti di vetro pulsanti, sono tra gli esseri più efficienti a nutrirsi nell’oceano. Dopo il periodo trascorso a Bimini, Madin andò a studiare le salpe alla Woods hole oceanographic institution, dove scoprì che questi animali potrebbero essere responsabili del trasporto di grandi quantità di carbonio nelle profondità oceaniche.

Durante il loro soggiorno a Bimini, All­dredge e Hamner notarono un turbinio di particelle simili a neve, che sembravano vorticare intorno a loro in mare aperto. I due raccolsero dei campioni, e Hamner costruì addirittura un piccolo forno per poterli essiccare e pesare. All­dredge in seguito realizzò ricerche pionieristiche su questo fenomeno, chiamato “neve marina”. Anni dopo fu ammessa alla National academy of science. Un altro studente, Neil Swanburg, analizzava grandi ctenofori che fluttuavano in acqua come addobbi di natale. Continuò a studiare questi e altri organismi pelagici, facendo importanti scoperte sulla loro biologia e sul loro ruolo di predatori oceanici.

Hamner si era rimesso in carreggiata. Ora aveva un nuovo campo di studi, sovvenzioni e pubblicazioni di successo, e i suoi studenti stavano diventando a loro volta degli esperti a pieno titolo. A un certo punto il ricercatore ricevette l’offerta di una cattedra all’università della California a Davis. Ma il periodo trascorso a Bimini aveva cambiato le cose per Bill e Peggy Hamner. Adesso erano due esploratori e il posto fisso non aveva più la stessa attrattiva di un tempo. Decisero che Bill avrebbe rifiutato l’offerta, e a una stabile carriera accademica preferirono una vita da girovaghi. Non sempre avrebbero avuto finanziamenti certi, ma era il prezzo da pagare per poter esplorare e viaggiare sulle correnti della loro infinita curiosità.

In Australia la coppia ha documentato l’importanza degli esseri viventi galleggianti per la vita della barriera corallina, e ha descritto il modo in cui gli animali pelagici sono trasportati verso le coste e consumati dai coralli affamati e dai pesci della barriera corallina. A Palau hanno realizzato i primi studi sulle meduse nelle lagune di acqua salata, aprendo letteralmente la strada per quello che oggi è il celebre Lago delle meduse. Hamner e Peggy hanno portato con sé una squadra del National Geographic, che avrebbe reso famose le meduse dorate del lago e attirato visitatori da tutto il mondo. Nell’Antartide sono stati i primi scienziati a documentare il comportamento gregario del krill antartico, immergendosi negli immensi sciami che si muovevano intorno a loro.

Gli Hamner hanno aperto ambiti di studio che ogni anno producono nuove generazioni di scienziati e hanno cambiato radicalmente il modo in cui concepiamo gli oceani. Si sono tuffati in zone in cui nessuno si era mai immerso, hanno tracciato sentieri verso luoghi in cui pochissimi avevano messo piede, hanno nuotato con alcune delle specie più importanti del pianeta. Il tutto mentre crescevano due figli e vivevano con risorse precarie. Nel 1988 Hamner fu assunto come professore all’università della California a Los Angeles. Ora che non fanno più immersioni, Bill e Peggy Hamner si sono fermati all’università dell’Alabama, dove insegnano in un programma di divulgazione per adulti: due visionari tenaci, curiosi e infinitamente avventurosi. ◆ fdl

Biografia

1961 Si laurea all’università di Yale.
1965 Riceve un dottorato in ornitologia all’Università della California a Los Angeles (Ucla).
1971 Insieme alla moglie Peggy, avvia un progetto di ricerca nelle acque dell’isola di Bimini, alle Bahamas.
1988 Viene assunto all’università della California a Los Angeles.


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Questo articolo è uscito sul numero 1562 di Internazionale, a pagina 68. Compra questo numero | Abbonati