“Voglio tutto”, gridava un ragazzo mentre insieme ad alcuni amici entrava da una vetrina infranta in un negozio di sport in Mary street, nel centro di Dublino. Scatole rosse di scarpe Nike erano sparse sull’asfalto, insieme a vetri in frantumi e a pezzi di manichini. C’ero anche io, e attorno a me alcune adolescenti ridacchiavano e strillavano mentre altri ragazzi prendevano a calci le vetrine. I turisti immortalavano la scena con gli smartphone. Nell’aria c’era una sorta di eccitazione mista a caos. Gli agenti antisommossa della Garda síochána (il corpo di polizia irlandese) si tenevano a distanza. Su O’Connell street si vedevano autobus e automobili in fiamme oltre a cartelli con slogan xenofobi. Su Abbey street i cassonetti bruciati separavano i gruppi di adolescenti da un cordone di polizia.

Quello che è successo a Dublino la sera del 23 novembre è stato terribile, ma non sorprendente. La rivolta è il risultato delle tensioni latenti nella zona nord della città. Chi in questi anni ha parlato con i clienti dei pub di Talbot street o con i commercianti di Moore street sapeva che sarebbe successo. L’aggressione di un uomo armato di coltello contro alcuni bambini è stata solo la scintilla che ha dato fuoco alla benzina sparsa nelle strade di Dublino.

In Irlanda l’estrema destra ha messo radici raccontando alle persone delle comunità più svantaggiate che lo stato le disprezza e le ha dimenticate. Dal modo in cui decideremo di etichettare chi ha partecipato agli scontri dipenderà se questa nuova destra riuscirà a ricavare una vittoria politica dalla situazione attuale.

Ascoltare le comunità

La mattina del 24 novembre, mentre controllavo le notizie sul cellulare, davanti alla finestra di casa passavano le carcasse carbonizzate degli autobus. Ho scoperto che gli autori dei disordini erano definiti nei modi più brutali, da “bestie feroci” a “scroti” (parola che oggi viene usata al posto di un’altra più volgare) e anche peggio. È innegabile che la violenza estremista di giovedì sera sia orribile, ma l’antidoto non è certo rispondere con altra intolleranza.

Nella zona nord di Dublino le rivolte non sono una novità. Anni di abbandono hanno alimentato il ricorso a una specie di giustizia popolare in una comunità che è stata ripetutamente delusa dallo stato. Ai disordini del 2006 parteciparono centinaia, se non migliaia di persone, soprattutto ragazzi, che al fianco di alcuni militanti politici nazionalisti e repubblicani devastarono O’Connell street alla vigilia di una controversa manifestazione unionista e filoinglese. Nonostante la chiara motivazione politica dietro quella rivolta, la folla approfittò dell’occasione per manifestare tutto il suo risentimento verso l’establish­ment, bruciando auto e saccheggiando negozi. Esattamente quello che è successo il 23 novembre.

In quel periodo Dublino nord era sconvolta dalla vicenda di Terence Wheelock, un uomo di vent’anni morto mentre era sotto la custodia della polizia. Quel fatto inasprì ulteriormente le tensioni tra giovani e agenti. La famiglia Wheelock non accettò i risultati dell’inchiesta della Garda síochána e chiese un’indagine pubblica e indipendente. Ma rimase inascoltata.

Nello stesso momento la città stava affrontando una devastante epidemia di eroina, che sulle nuove generazioni ha lasciato cicatrici ancora visibili. La risposta delle comunità a questi problemi era anche radicata nella diffusa sensazione di essere state abbandonate dalle autorità. Gruppi di residenti si sono presentati direttamente nelle case dei presunti spacciatori. La stessa situazione si è ripetuta nel 2022, in occasione delle proteste contro gli immigrati e i richiedenti asilo. Il filo conduttore è evidente: la gente della zona sente di non poter contare sullo stato dopo che decenni di indifferenza e rapporti complicati hanno provocato una profonda sfiducia, un sentimento facilmente manipolabile da forze esterne, che siano i repubblicani radicali, come nel 2006, o l’estrema destra.

In rete molti sostengono che oggi abbiamo a che fare con un esercito di fanatici di estrema destra. Non è così. Sono soprattutto ragazzi vulnerabili manovrati dall’esterno, che stanno esprimendo la loro rabbia contro il potere con gli unici strumenti che gli vengono forniti.

È giusto condannare il messaggio d’odio emerso dagli eventi del 23 novembre, ma bisogna anche evitare che la condanna diventi lo specchio di quello stesso sentimento ostile. Dobbiamo rinnegare la violenza e pretendere giustizia, ma è altrettanto necessario ricordare che molti dei responsabili delle violenze fanno parte della gioventù più vulnerabile di Dublino, ragazzi che vivono in comunità trascurate e marginalizzate. Perché hanno distrutto la loro città? Perché sentono che non gli appartiene e non li accoglie. L’unica risposta è rafforzare e ascoltare queste comunità: per contrastare l’estrema destra la capacità di comprendere è una risorsa molto più efficace della semplice condanna.

I problemi delle aree più povere di Dublino non si risolvono semplicemente con l’intervento della polizia. Il cambiamento deve essere politico. Combattere l’influenza degli estremisti di destra non è compito della Garda, come non lo è trovare soluzioni alla crisi sociale. Serve uno sforzo solidale e pragmatico per migliorare la vita in alcune zone della città. E la comunità dev’essere coinvolta. Convincere i residenti a partecipare, ascoltare le loro preoccupazioni (giustificabili o meno) e trattarli come gli altri irlandesi è l’unico modo per uscire dalla crisi.

Demonizzare e disumanizzare queste comunità significa invece assicurarsi che la loro rabbia torni a esplodere. Nessuno può trovare un’intesa con un interlocutore che lo considera un animale. ◆ as

Adam Doyle è un artista e illustratore irlandese, noto con lo pseudonimo di Spicebag.

Da sapere
Come nasce la rivolta

◆Nel primo pomeriggio del 23 novembre 2023 un uomo armato di coltello ha aggredito alcuni bambini all’uscita di una scuola elementare nel centro di Dublino, ferendone tre e una maestra, prima di essere immobilizzato e arrestato. La polizia ha mantenuto il riserbo sull’assalitore (poi risultato essere un cittadino irlandese di origine algerina), ma subito si è diffusa la voce che fosse un immigrato. In serata sono scoppiati violenti scontri tra gli agenti e centinaia di giovani, che hanno scandito slogan contro gli immigrati, incendiato autobus e automobili e saccheggiato diversi negozi del centro. Bbc


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Questo articolo è uscito sul numero 1540 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati