Gli osservatori attenti del mercato dell’antiquariato tendono a essere piuttosto cinici, date le tante frodi, le pratiche losche e i traffici illeciti a cui hanno assistito. Eppure anche loro hanno espresso un profondo sgomento alla notizia dell’inspiegabile assenza di duemila oggetti dall’inestimabile collezione di reperti antichi e storici del British museum di Londra, seguita dalle dimissioni del direttore Hartwig Fischer.

“Il numero degli oggetti mancanti è enorme”, afferma Christos Tsirogiannis, archeologo forense che lavora per Traf­ficking culture, un’organizzazione che si occupa del traffico mondiale di opere d’arte rubate. “Nessun esperto poteva aspettarsi una cosa del genere in uno dei più grandi musei del mondo”.

Un punto di riferimento?

Christopher Marinello, amministratore delegato della Art recovery interna­tional, un’organizzazione specializzata nel recupero di opere d’arte rubate, è d’accordo: “Riceviamo in continuazione segnalazioni di furti da istituzioni culturali di tutto il mondo. Sorprende se si tratta del British museum, un punto di riferimento per gli standard di sicurezza”.

Standard che hanno subìto un duro colpo dopo la notizia di reperti preziosi in vendita su eBay, a quanto pare per poche sterline. Il museo ha rivelato che all’inizio del 2023 era stato licenziato Peter Higgs, curatore esperto, da trent’anni al British, dopo la scoperta che mancavano diversi oggetti. E ha annunciato un’indagine, più di due anni dopo che erano circolate informazioni sulle vendite illegali di oggetti delle sue collezioni. Negli ultimi giorni anche la polizia ha avviato un’inchiesta e il direttore del museo Hartwig Fischer si è dimesso. I danni alla reputazione del British museum sono gravi e l’intera vicenda ha dato nuovo impulso alle richieste di restituzione di oggetti come i marmi del Partenone, i bronzi del Benin o i tabot etiopi (copie delle tavole della legge secondo la tradizione contenute nell’Arca dell’alleanza) ai loro luoghi di origine.

Il collegamento tra sicurezza e proprietà culturale è diventato quasi imbarazzante quando è emerso che in passato Higgs è stato responsabile dei marmi del Partenone. Come afferma Despina Koutsoumba, direttrice dell’Associazione degli archeologi greci: “Non si può più sostenere che il patrimonio culturale greco è protetto bene al British museum”.

Questo dibattito non potrà che infiammarsi, ma nel frattempo cosa ne sarà degli oggetti mancanti? C’è qualche probabilità di ottenerne la restituzione? “Ci vorranno decenni”, afferma Marinello, evidenziando le complessità legali e forensi implicate nella localizzazione degli oggetti, molti dei quali non sono stati catalogati in modo adeguato.

I marmi del Partenone esposti al British museum (Daniel Leal, Afp/Getty)

Ci sono molti miti sul traffico illegale di oggetti d’antiquariato, spesso identificato come la terza più grande attività di scambi illeciti al mondo dopo quella di stupefacenti e di armi. Forse è un’esagerazione. Ma anche se questo traffico vale solo qualche centinaio di milioni di dollari invece degli svariati miliardi di cui si parla spesso, si tratta comunque di un mercato enorme in cui è meglio non mostrarsi troppo curiosi sul modo in cui il venditore è entrato in possesso degli oggetti.

Del resto se la storia del British museum è venuta fuori è solo perché un mercante d’antiquariato danese, Ittai Gradel, ha raccontato di aver cominciato a nutrire dei sospetti su un collega con cui aveva rapporti commerciali. Gradel racconta di aver avvisato George Osborne, presidente del consiglio d’amministrazione del museo, dopo essere stato “liquidato” per due anni dai suoi dirigenti. A quanto pare i suoi primi dubbi su questo venditore risalgono al 2016, quando Gradel ha riconosciuto un oggetto che aveva visto anni prima al British museum. Oggi racconta di averci messo quattro anni per capire di aver maneggiato oggetti rubati. A quel punto il British museum ha cominciato a mostrarsi reticente.

Marinello sostiene l’importanza di un’azione rapida. “Cerco oggetti per conto dei musei svedesi da quasi vent’anni”, racconta. “Perciò prima il British museum renderà pubblica una lista dettagliata degli oggetti rubati, maggiori saranno le probabilità di riaverli”.

Marinello sarebbe felice di aiutare il British a rintracciare e recuperare gli oggetti mancanti. Così anche Tsirogiannis, che comunque dà un giudizio pessimo sul sistema di catalogazione del museo. Si dice che l’istituzione possieda circa otto milioni di oggetti, la maggior parte dei quali in magazzino. Per quanto enorme possa essere questo numero, secondo Tsirogiannis non ci sono giustificazioni plausibili per le lacune nei registri.

Reputazione e responsabilità

L’obiettivo principale di qualsiasi museo, spiega, dovrebbe essere “registrare i suoi oggetti” immediatamente, appena ne entra in possesso. “È la priorità assoluta e la sua principale responsabilità”, dice. A suo parere questa incapacità di farlo in modo adeguato è un disastro per la reputazione dell’istituzione britannica. Ma certo questa crisi potrebbe essere un’opportunità per migliorare la sua immagine internazionale da un altro punto di vista.

Storicamente le argomentazioni del British museum a favore del suo diritto al possesso dei reperti provenienti da altri paesi si sono basate sulla convinzione che la sua capacità di custodirli fosse superiore. Una tesi oggi difficile da sostenere. “Temo che il British museum non creda che questa sia un’occasione per parlare di restituzione delle opere”, prosegue Tsirogiannis. “Continuerà a gestire questa storia come uno sfortunato incidente isolato, nella speranza che possa essere presto dimenticato”.

Se le accuse su cui si sta indagando dovessero dimostrarsi vere – e nessuno sembra negare i fatti fondamentali – questo episodio sarà invece ricordato a lungo, in tutto il mondo. Ma al di là delle dimensioni internazionali della vicenda, Marinello ha delle osservazioni anche sul piano nazionale. La situazione che si è creata richiede qualche forma di rassicurazione pubblica. “Osborne e tutto il consiglio d’amministrazione devono tornare dalle vacanze, organizzare una conferenza stampa e dire: ‘È successo questo. Stiamo facendo quest’altro. Questo non possiamo dirlo perché è in corso un’indagine. Questo è ciò che faremo per evitare che possa accadere di nuovo’. Lo devono ai cittadini britannici”.

Non è difficile avvertire il caldo profumo delle vacanze nel Mediterraneo in mezzo al glaciale silenzio istituzionale che ha circondato questa storia prima delle dimissioni di Fischer. Vacanze in luoghi da cui sono stati sottratti moltissimi reperti per “custodirli al sicuro”. Salvo poi ritrovarli all’asta anni dopo, quasi inosservati, negli angoli più oscuri del bazar digitale. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1527 di Internazionale, a pagina 77. Compra questo numero | Abbonati