Per le città che vogliono ridurre il numero di auto in circolazione, le piste ciclabili sono un buon punto di partenza. Non costano molto, di solito possono essere decise dalle autorità cittadine e non comportano un aumento delle tasse per i proprietari di macchine. Ma se si volesse fare qualcosa di più radicale? Cosa può fare una città che vuole davvero eliminare l’auto dalla vita dei suoi abitanti? E che vuole permettere alla maggior parte delle persone un’esistenza decorosa e di muoversi senza bisogno di un’auto, o perfino senza bisogno di una bicicletta?

Tra le città che ho visitato solo una c’è riuscita. Ed è una delle più grandi del mondo: Tokyo, la capitale del Giappone.

Nell’immaginario popolare, almeno in occidente, Tokyo è allo stesso tempo incredibilmente futuristica e piuttosto estranea e inquietante. Quando l’ho visitata per la prima volta, nel 2017, me la immaginavo estremamente frenetica, una megalopoli rumorosa e trafficatissima. Ero in vacanza e cercavo di fuggire da Nairobi, una città a bassa densità, verde e fatta di bassi edifici, e scelsi Tokyo soprattutto perché volevo andare il più lontano possibile dall’Africa. Avevo bisogno di una pausa dagli ingorghi, dai blackout, dalle trattative continue per ottenere qualunque cosa e dal caldo. Volevo fuggire nel posto più diverso possibile. Volevo prendere il treno, guardare grattacieli ultramoderni e non aver paura di imbrattarmi di fango camminando per strada. Pensavo che sarei rimasto sopraffatto dall’altezza dei palazzi, dalla calca della gente e dal rumore.

Ma quando sono uscito dalla stazione di Shibuya, strizzando gli occhi per la luce del mattino e il jetlag dopo il volo notturno da Amsterdam, a sorprendermi non è stato il trambusto, ma la tranquillità. Guardando le tipiche immagini di Tokyo, quello che invariabilmente salta agli occhi sono le enormi folle di pedoni che attraversano le strade, o il monte Fuji sullo sfondo dei grattacieli. Mi aspettavo un posto come la Los Angeles di Blade Runner: futuristico e opprimente. Dalle foto Tokyo può apparire quasi cresciuta casualmente, con insegne al neon dappertutto e un’immensa varietà di forme architettoniche. Una città caotica. Invece una volta lì ho avuto la sensazione di trovarmi in un paesino avveniristico. Un luogo assolutamente calmo, in un modo piuttosto strano.

Trenta milioni di pendolari

Ci ho messo un po’ a capire perché. Semplicemente, non c’è il rumore del traffico: niente clacson, niente rombo di motori, neppure il fruscio delle ruote sull’asfalto. Le auto sono talmente rare che si può camminare quasi sempre in mezzo alla strada. Non sono neppure parcheggiate ai lati delle vie.

Questo non vale per tutta Tokyo, ovviamente. Le superstrade sono spesso intasate. A volte, mi hanno detto, soprattutto se nevica o durante le vacanze, quando molta gente vuole andare fuori città, si formano ingorghi che possono durare intere giornate. Ma in molte zone residenziali il traffico è quasi inesistente e le poche vetture in circolazione sono piccole e silenziose.

Tra le città ricche del mondo, Tokyo è quella dove si usa meno l’auto. Secondo la società di consulenza Deloitte solo il 12 per cento degli spostamenti avviene con vetture private. Potrebbe sorprendervi scoprire che a Tokyo le bici sono più diffuse delle auto e sono usate per il 17 per cento degli spostamenti, anche se i giapponesi non ne parlano tanto come gli olandesi. Ma è ancora più comune muoversi a piedi o con i mezzi pubblici. Tokyo ha il sistema di trasporto pubblico più usato del mondo, con trenta milioni di pendolari che si spostano in treno ogni giorno. Probabilmente non sembrerà piacevole, e probabilmente avrete visto le immagini delle tratte più affollate all’ora di punta, quando il personale deve spingere letteralmente i passeggeri nelle carrozze, oppure avrete letto delle giovani donne molestate nella calca. Succede, ma non è la norma. Quasi tutti i treni che ho preso erano molto frequentati ma confortevoli, e riuscivo a trovare un posto per sedermi.

Il quartiere di Arakawa-Minowa. Tokyo, 2016 (Patrick Batchelder)

Quello che rende eccezionale Tokyo è che la città è stata costruita praticamente ex novo dopo i bombardamenti statunitensi che l’avevano rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale. Dall’avvento dell’automobile, in tutto il mondo per architetti e urbanisti è stato quasi impossibile resistere alla tentazione di progettare le città intorno alle strade e al presupposto che quasi tutti avrebbero guidato un’auto. Tokyo in qualche modo c’è riuscita. La ricostruzione ha avuto al centro gli esseri umani.

Può suonare strano che la più grande città relativamente libera dalle auto si trovi in Giappone. Dopo tutto, il paese è la patria della Mitsubishi, della Toyota e della Nissan, ed esporta veicoli in ogni angolo del pianeta. E in effetti molti giapponesi possiedono un’auto. Nel complesso, in Giappone ci sono circa 590 veicoli di proprietà ogni mille abitanti, meno che negli Stati Uniti (ottocento ogni mille), ma quasi gli stessi che in molti paesi europei. In media ci sono 1,06 auto per ogni famiglia. Ma Tokyo è una grande eccezione. Nella capitale le macchine sono solo 0,32 per famiglia. La maggior parte dei proprietari di auto vive in centri abitati più piccoli. Il più alto tasso di proprietà di auto, per esempio, è nella prefettura di Fukui, sulla costa occidentale dell’isola di Honshū, una delle aree meno densamente popolate del paese.

E la quantità di auto in Giappone è in calo, a differenza di quasi qualunque altro luogo. In parte perché il paese sta invecchiando e la popolazione diminuisce. Ma anche perché aumentano le persone che vivono a Tokyo. Il Giappone ogni anno perde lo 0,3 per cento della sua popolazione, vale a dire quasi mezzo milione di persone. Ma nell’area metropolitana di Tokyo, con i suoi 37 milioni di abitanti, il calo è più lento: circa lo 0,1 per cento all’anno. E nel centro di Tokyo, che ha 14 milioni di abitanti, la popolazione continua a crescere. La ragione è che la capitale offre i posti di lavoro migliori, ed è anche un luogo piacevole dove vivere. Potreste pensare che i suoi abitanti siano stipati in appartamenti minuscoli, ma in realtà una casa di Tokyo in media misura 65,9 metri quadrati. È sicuramente poco, ed è meno delle dimensioni medie di una casa a Londra (80 metri quadrati). Ma una famiglia londinese è composta in media da 2,7 persone, mentre a Tokyo sono 1,95. Quindi gli abitanti della capitale giapponese in realtà hanno più spazio pro capite dei londinesi.

Complessivamente gli abitanti di Tokyo hanno una qualità della vita fra le più alte al mondo. Un sondaggio condotto dalla rivista Monocle nel 2015 arrivò alla conclusione che era la migliore città della Terra in cui vivere, “grazie al paradosso che la contraddistingue: dimensioni spaventose e una sensazione di pace e quiete”. Nel 2021 l’Economist l’ha collocata al quarto posto, dopo Wellington e Auckland in Nuova Zelanda e un’altra città giapponese, Osaka. La speranza di vita generale è 84 anni, una delle più alte tra le città del pianeta. E questo ha in gran parte a che fare con la mancanza di auto. L’inquinamento dell’aria è notevolmente inferiore a quello di qualsiasi altra metropoli. I viaggi dei pendolari sono spesso piuttosto lunghi, quaranta minuti a tratta. Ma non sono avvolti dallo smog.

Senza sosta

Com’è stato possibile questo risultato? Secondo Andre Sorensen, un professore dell’università di Toronto che ha pubblicato una storia della pianificazione urbanistica in Giappone, molto è merito della storia del paese. L’urbanizzazione avvenne come in alcuni paesi più poveri: rapidamente. All’inizio del novecento solo il 15 per cento dei giapponesi viveva nelle città. Oggi sono il 91 per cento, uno dei tassi di urbanizzazione più alti del mondo. Per questo la crescita di Tokyo nel dopoguerra fu relativamente caotica. I palazzi presero il posto delle risaie, mentre fognature ed elettricità spesso arrivarono dopo. La corrente ancora oggi passa spesso su fili sospesi in aria e non in cavi sotterranei. Eppure, in qualche modo questo sistema disordinato e confuso ha prodotto una città relativamente coerente, dove è molto più facile spostarsi a piedi o con mezzi pubblici che in macchina.

Vicino alla stazione di Shibuya. Tokyo, 2016 (Patrick Batchelder)

In parte, spiega Sorensen, è successo semplicemente per una casualità storica. Le strade giapponesi erano tradizionalmente strette, simili ai vicoli medievali in Europa. La proprietà della terra spesso era molto frammentata, e quindi i costruttori dovevano usare lotti più piccoli rispetto ai loro colleghi in Europa o in America. E a differenza dei paesi occidentali, il Giappone nel dopoguerra era molto più interessato a incoraggiare la crescita economica costruendo centrali elettriche e zone industriali che ad aprire nuovi viali. Così i tracciati stradali non cambiarono.

Secondo la ricerca di Sorensen, il 35 per cento delle strade giapponesi non è abbastanza largo per far passare un’auto. Ancora più importante, l’86 per cento non è abbastanza largo perché una macchina possa fermarsi senza bloccare il traffico.

Ma il motivo più importante che spiega l’alta qualità della vita di Tokyo è che il Giappone non incentiva la proprietà dell’auto come fanno altri paesi. Di fatto, possedere una macchina a Tokyo è piuttosto difficile. Tanto per cominciare, le auto sono controllate molto più attentamente che in America o in gran parte d’Europa. Le vetture devono essere revisionate ogni due anni per garantire che rispettino le norme e non siano state modificate. È così anche nel Regno Unito, ma in Giappone costa di più. Far controllare una macchina in buono stato può costare centomila yen (circa 670 euro). Per quelle che hanno più di dieci anni la tariffa sale sensibilmente, e questo spiega perchè molte finiscono in Africa orientale o nel Sudest asiatico. Per di più sulle auto si paga un bollo annuale che può arrivare a 50mila yen e un’imposta del 5 per cento sul prezzo di acquisto. E poi ci sono le accise sulla benzina, che costa circa 160 yen (un euro) al litro: meno che in gran parte d’Europa, ma più di quanto sarebbero disposti a pagare gli statunitensi.

E anche chi è disposto a pagare tutte le imposte, non può andare semplicemente a comprare una macchina come si fa altrove. Prima bisogna dimostrare di avere un posto dove parcheggiarla. Questo permesso viene rilasciato dalla polizia locale, ed è noto come shakō shōmei-sho, o “certificato di garage”. Chi non ce l’ha non può comprare un’auto. Questo aiuta a capire perché i giapponesi comprano tante vetture minuscole, come le cosiddette Kei car: così possono metterle in garage più piccoli. E anche se questa norma non esistesse, possedere un’auto in Giappone senza avere lo spazio dove parcheggiarla sarebbe un incubo. In base a una legge del 1957 lasciare l’auto in strada durante la notte è assolutamente vietato: la mattina dopo sarebbe rimossa e il proprietario riceverebbe una multa di 200mila yen. Di fatto, parcheggiare in strada è quasi sempre vietato. Ci sono poche eccezioni, ma su più del 95 per cento delle strade giapponesi non si può parcheggiare, neppure di giorno. È questo, più che la splendida architettura, a spiegare perché è così piacevole passeggiare per le vie di Tokyo o anche solo guardarle. Non ci sono auto a soffocarle. Significa anche che gli spazi hanno il valore che meritano Se vuoi un’auto, devi anche possedere o affittare un posto in cui tenerla. Nelle aree rurali o nelle cittadine più piccole non è un grosso problema perché i terreni sono relativamente a buon mercato, quindi un permesso può costare dagli otto ai novemila yen, circa 50-60 euro al mese. Ma a Tokyo il costo è almeno quattro volte tanto. Anche nelle città statunitensi i garage possono costare molto cari, ma lì c’è l’alternativa di un parcheggio economico per strada. Nella capitale giapponese molti palazzi sono costruiti senza posti auto, perché conviene usare lo spazio per le abitazioni. Solo il 42 per cento dei condomini è dotato di parcheggi per i residenti. E anche se si possiede un posto auto, nel resto della città il parcheggio non è quasi mai gratuito. Di regola a Tokyo costa mille yen all’ora, circa 6,5 euro.

È un grosso disincentivo all’uso dell’automobile. Sorensen mi ha detto che quando viveva a Tokyo, alcuni suoi amici ricchi avevano delle auto di lusso. Ma dato che non avevano un posto per parcheggiare vicino a casa, se volevano usarle dovevano prendere i mezzi pubblici (o un taxi) per raggiungere il garage. Nella vita quotidiana usavano i treni, come chiunque altro, oppure i taxi, perché era più economico che andare a prendere l’auto. Questo probabilmente contribuisce a spiegare perché i giapponesi non guidano molto. Chi ha una macchina in media percorre seimila chilometri all’anno, circa la metà rispetto a un automobilista del Regno Unito e meno di un terzo rispetto a uno degli Stati Uniti.

Il quartiere di Sakuragaoka. Tokyo, 2016 (Patrick Batchelder)

Il treno conviene

Ma c’è un fattore ancora più importante: il modo in cui sono state finanziate le infrastrutture in Giappone, cioè dal mercato e non direttamente dalle tasse. Negli anni cinquanta e sessanta, come in Europa e negli Stati Uniti, il Giappone cominciò a costruire superstrade, ma le condizioni di partenza erano molto più difficili. Nel 1957 Ralph J. Watkins, un economista statunitense che era stato invitato a fare da consulente al governo giapponese, riferiva: “Le strade sono davvero pessime. Nessun altro paese industrializzato ha trascurato così tanto la sua rete stradale”. Solo il 23 per cento delle strade era asfaltato, compresi due terzi dell’unica strada che collegava Osaka, storicamente il cuore economico del Giappone, a Tokyo.

Ma a differenza che negli Stati Uniti, l’idea delle autostrade gratuite non sembra aver mai sfiorato la mente dei politici, probabilmente perché nel dopoguerra il Giappone non era il paese più ricco del mondo. Non c’era grande disponibilità di capitale. Per costruire le strade il governo creò aziende come la Shuto Kōsoku-dōro Kabushiki-gaisha, fondata a Tokyo nel 1959. Queste imprese accumularono enormi debiti, per non gravare sui contribuenti. Di conseguenza imposero subito pedaggi che dovevano coprire non solo i costi di costruzione, ma anche il pagamento dei debiti.

Oggi viaggiare sull’autostrada Shuto costa dai 300 ai 1.320 yen per un’auto di dimensioni “standard”. In generale i pedaggi in Giappone sono i più cari del mondo: in media si pagano venti euro per cento chilometri, il triplo che in Francia.

Questo significa che fin dall’inizio le strade non hanno avuto un vantaggio nella competizione con altri mezzi di trasporto. E così in Giappone, a differenza che in quasi tutto il resto del mondo ricco, nel dopoguerra furono costruite grandi infrastrutture ferroviarie. Mentre Stati Uniti e Regno Unito nazionalizzavano e tagliavano le ferrovie per far fronte al calo della domanda di viaggi in treno, in Giappone la società ferroviaria nazionale investiva generosamente nella rete.

La prima ferrovia ad alta velocità al mondo, la Tōkaidō Shinkansen, fu inaugurata nel 1964 in occasione delle Olimpiadi di Tokyo e poteva raggiungere i 210 chilometri orari. Dal 1964 al 1999 il numero di passeggeri che usavano la Shinkansen passò da undici a più di trecento milioni all’anno.

Sorensen mi ha raccontato che negli anni cinquanta e sessanta i treni erano un motivo di orgoglio nazionale per il governo, un po’ come le industrie automobilistiche altrove: “E a ragione. Erano un’invenzione fantastica. Aver raddoppiato la velocità dei treni era una grande conquista”. Per questo motivo il ministero delle ferrovie si trasformò in un centro di potere. Con il trasporto ferroviario i giapponesi “accumularono conoscenze e competenze nel campo dell’ingegneria e dell’amministrazione, e un prestigio politico duraturo”, mi ha detto Sorensen. “Invece il settore delle infrastrutture stradali era debole”.

Da sapere
A passo d’uomo
Le città più trafficate al mondo, tempi di percorrenza dei veicoli privati (Fonte: TomTom traffic index 2022)

Negli altri paesi costruire strade era un processo che si alimentava da solo, perché più denaro veniva investito, più la gente comprava automobili e chiedeva nuove strade. In Giappone invece questo processo ha riguardato le ferrovie.

Se visitate Tokyo oggi, scoprirete che i luoghi più frenetici e affollati sono tutti vicino alle stazioni ferroviarie e metropolitane. La ragione è che le ferrovie giapponesi (l’azienda nazionale fu privatizzata negli anni ottanta) non si occupano solo di ferrovie. Sono anche grandi investitori immobiliari. Hanno costruito appartamenti, grandi magazzini e supermercati vicino o direttamente sopra le stazioni ferroviarie, in modo che la gente potesse scendere dal treno e tornare subito a casa.

Questo rende i treni più efficienti, dato che si può arrivare dove si vuole senza allontanarsi molto dalla stazione. Ma significa anche che le ferrovie sono incredibilmente redditizie perché, a differenza di quanto avviene in occidente, possono guadagnare dall’aumento del valore dei terreni che loro stesse determinano.

Questo insieme di fattori ha reso Tokyo una delle pochissime città del pianeta dove gli spostamenti in auto non sono attivamente incentivati e curiosamente non lo è neanche il trasporto pubblico, eppure entrambi funzionano bene, quando serve. Ma Tokyo non è completamente sola. Diverse grandi città dell’Asia sono riuscite a evitare la catastrofe che si è abbattuta su gran parte dell’occidente. A Hong Kong ci sono appena 76 auto ogni mille abitanti. A Singapore 120. Quello che questi due posti hanno in comune – e che li rende piuttosto diversi dal Giappone – è la scarsità di terreni e un’inflessibile autorità centralizzata che ha riconosciuto per tempo come le auto fossero uno spreco di spazio. Purtroppo replicare il modello asiatico in Europa, America o Australia non sarà facile. Tanto per cominciare, abbiamo tante di quelle macchine sulle nostre strade che imporre limiti simili alla proprietà dell’auto quasi sicuramente sarebbe un fallimento in partenza.

Basta vedere cosa succede quando i politici statunitensi o britannici tentano di eliminare anche un numero modesto di parcheggi sulle strade o di aumentare le accise sulla benzina. La gente ha già investito nell’auto e per questo vive in luoghi dove il tipo di trasporto pubblico che rende la vita possibile alla maggioranza degli abitanti di Tokyo è irrealistico. Quindi costruire ferrovie come quelle che esistono in Giappone è un obiettivo straordinariamente difficile.

Eppure Tokyo merita attenzione proprio perché dimostra che nella vita quotidiana non servono molte auto. È la prova che città enormi possono funzionare bene senza essere gravate dal traffico. Di fatto, Tokyo funziona meglio di qualunque altra metropoli. È per questo che è riuscita a diventare così grande. In tutto il mondo da decenni la ricchezza tende a concentrarsi nelle grandi città. Un tempo vivere in luoghi come New York, Londra o Parigi costava poco più che vivere in una città minore. Non è più così, perché i vantaggi di vivere nelle grandi città sono enormi. I posti di lavoro sono migliori, ma anche i ristoranti, le attività culturali, le possibilità di trovare un partner e quasi ogni altra cosa a cui potete pensare. E la gente è disposta a pagare per tutto questo.

Nuovi arrivi

Da quando la pandemia di covid-19 ha dimostrato che tanti lavori si possono svolgere da qualunque luogo, molti newyorkesi avrebbero potuto facilmente trasferirsi in un paesino vicino e risparmiare una fortuna sull’affitto oppure fare soldi vendendo la loro casa. E centinaia di migliaia di persone in effetti lo fanno ogni anno. Ma sono subito rimpiazzate da nuovi arrivi, per la semplice ragione che New York è un bel posto dove vivere. Se tutti quelli che vogliono vivere in una grande città devono poterlo fare, queste città dovranno crescere di più. Ma se continuano a crescere con il presupposto che l’auto resterà comunque il principale mezzo di trasporto, finiranno strangolate dagli ingorghi molto prima di raggiungere qualcosa di paragonabile al successo di Tokyo. Si dice spesso che Londra o New York sono troppo affollate, ma non è vero. Sono troppo affollate solo se si ritiene normale che le persone abbiano bisogno di spazio non solo per sé, ma anche per le due tonnellate di metallo che usano per spostarsi.

Vietare di parcheggiare per strada di notte potrebbe rivelarsi impossibile senza scatenare la furia degli automobilisti. Ma altre misure adottate a Tokyo sono più realistiche. Per esempio, si potrebbero costruire abitazioni in prossimità dei trasporti pubblici e usare il denaro ricavato per potenziare la rete. Nessuna città può trasformarsi in Tokyo dalla sera alla mattina, e non deve farlo, a meno che la maggioranza dei suoi abitanti non decida diversamente. Non tutti sono innamorati della capitale giapponese come me. Ma se gli argomenti a favore sono presentati come si deve, i problemi politici si possono superare, perfino nelle città più dipendenti dalle auto. ◆ gc

Daniel Knowles è un giornalista del settimanale britannico The Economist. Questo articolo è tratto dal suo ultimo libro, Carmageddon: how cars make life worse and what to do about it (Abrams 2023).

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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 46. Compra questo numero | Abbonati