Con il caloroso benvenuto riservato al primo ministro indiano Narendra Modi, il congresso degli Stati Uniti e l’amministrazione di Joe Biden mostrano il rovescio della medaglia del crescente antagonismo verso la Cina: l’infatuazione sempre più forte per l’India. L’ultima – e più imbarazzante – manifestazione di questo amore è stata quella della segretaria per il commercio statunitense Gina Raimondo, che ha definito Modi un “visionario”, “incredibile” se non addirittura “indescrivibile”. Le sue affermazioni sono state accompagnate da gesti enfatici e pronunciate indossando un coloratissimo abito indiano. L’India di Modi è sicuramente irresistibile per molti leader statunitensi: è la più grande compratrice di armi al mondo, rappresenta un mercato interessante per i capitali e le merci statunitensi ed è il paese d’origine di una diaspora ricca, politicamente rilevante e in larga misura schierata con il Partito democratico. L’India però è anche un paese in cui – lo hanno evidenziato di recente scrittori come Salman Rushdie, Kiran Desai e Jhumpa Lahiri in una dichiarazione congiunta – “i discorsi d’odio trovano espressione e ampia diffusione; i musulmani sono vittime di discriminazioni e linciaggi, le loro case e le moschee sono rase al suolo e i loro mezzi di sostentamento distrutti; i cristiani sono picchiati e le loro chiese attaccate; i prigionieri politici sono detenuti senza processo”. I fan occidentali di Modi sembrano ignorare i timori dei principali intellettuali indiani, e di istituzioni rispettate come Amnesty international, Human rights watch, Oxfam e il Comitato per la protezione dei giornalisti. Di recente lo Us Holocaust memorial museum ha perfino collocato l’India all’ottavo posto, sopra Siria e Somalia, nella lista dei 162 paesi più esposti al rischio di massacri.

È difficile capire in che modo l’amministrazione Biden potrà continuare a mostrarsi vicina a un governo simile senza mettere a rischio la reputazione e gli interessi degli Stati Uniti nel lungo periodo. Tanto per cominciare, anche se Modi usa il sistema giudiziario, le autorità fiscali e le agenzie di sicurezza contro chi lo critica, il suo dominio sulla politica indiana non è affatto totale. In particolare, non è riuscito a convincere gli elettorati degli stati più ricchi nel sud dell’India: il suo Bharatiya janata party (Bjp) ha ancora oggi poco più di un terzo dei voti su base nazionale. E non è ancora chiaro quanto potrà essere potente il nazionalismo indù sul piano elettorale negli stati più poveri e popolosi dell’India una volta che Modi sarà uscito di scena. Inoltre, come dimostrano le violenze nello stato del Manipur, il tentativo di ingegneria sociale contro le popolazioni non indù potrebbe destabilizzare l’intero paese. Gli Stati Uniti non possono permettersi di schierarsi di nuovo dalla parte sbagliata di un conflitto interno a un altro stato. Biden ha più volte insistito sul fatto che gli Stati Uniti stanno dalla parte della democrazia e contro i regimi autoritari. A meno di non voler considerare questa dichiarazione un mero espediente retorico, bisogna che le scelte politiche concordino con i princìpi morali.

La Casa Bianca dovrebbe rivolgersi all’opposizione politica sconfitta e sotto assedio dell’India, dovrebbe parlare pubblicamente agli intellettuali indiani

In effetti nel caso dell’India questa sfida è meno complicata di quanto sembri, soprattutto se prendiamo come termine di paragone l’Arabia Saudita. La Casa Bianca dovrebbe rivolgersi all’opposizione politica sconfitta e sotto assedio dell’India, dovrebbe parlare pubblicamente agli intellettuali indiani. E, quando New Delhi si lamenta delle interferenze straniere, dovrebbe ricordare a Modi la sua visione di una società indiana tradizionalmente cosmopolita e aperta.

È stato lo stesso Modi a invitare gli stranieri a occuparsi della politica indiana, facendo mostra della sua popolarità con i leader stranieri nel tentativo di entusiasmare gli elettori indiani. Se lo volesse, Biden potrebbe usare in modo innovativo il fascino e l’autorità del suo ruolo e costruire un rapporto più ravvicinato e più multidimensionale tra Stati Uniti e India. Per chi la cerca, esiste una via di mezzo tra definire Modi un incredibile visionario e fargli la lezioncina sulle lacune dell’India in termini di democrazia. C’è ampio spazio per una politica statunitense che sia pragmatica e allo stesso tempo eticamente accettabile, che non solo riconosca l’importanza geostrategica ed economica dell’India, ma renda anche onore alla politica e alla cultura pluralistica della sua società.

Lusingando con tanta sollecitudine Modi, l’amministrazione Biden non fa che riecheggiare il debole per gli uomini forti dell’ex presidente Donald Trump. Inoltre si comporta come le potenze avversarie degli Stati Uniti, la Russia e la Cina, più che disposte a siglare accordi vantaggiosi con regimi apertamente illiberali. Forse non possiamo aspettarci niente di più mentre le grandi potenze si contendono la supremazia militare ed economica. Tuttavia, perfino nel nostro mondo cupamente amorale e multipolare, vale la pena di perseguire un bene comune più alto. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1518 di Internazionale, a pagina 44. Compra questo numero | Abbonati