Editoriali

I limiti del capitalismo cinese

Negli ultimi decenni la Cina ha attraversato varie fasi difficili che hanno spinto alcuni commentatori a proclamare la fine del suo miracolo economico. Le loro previsioni sono state regolarmente smentite: Pechino ha trovato delle soluzioni e ha ripreso a crescere rapidamente. Ma stavolta potrebbe essere diverso. La crisi attuale va molto più in profondità e mette in discussione l’intero modello economico. Proprio mentre la Cina assume un ruolo di primo piano sulla scena internazionale, le fondamenta della seconda economia più grande del mondo cominciano a sgretolarsi.

Non è solo il settore immobiliare, gravato dai debiti, a minacciare il sistema finanziario cinese: il governo potrebbe rimediare con delle iniezioni di capitale. Ma a questo si aggiungono il calo dei consumi e dei prezzi, l’aumento della disoccupazione giovanile e le crescenti barriere al commercio e agli investimenti imposte dagli Stati Uniti, il partner che ha reso possibile l’ascesa della Cina negli ultimi 45 anni. Alla radice del problema c’è una politica economica che ha puntato solo sulle esportazioni e sugli investimenti invece che sul consumo interno. La Cina è finita nella “trappola del medio reddito”, in cui cadono i paesi emergenti quando raggiungono un certo grado di prosperità ma non arrivano a uguagliare quelli più sviluppati. E con la popolazione che comincia a declinare, la Cina rischia di diventare vecchia prima che ricca. Dietro tutto questo c’è un sistema politico che con l’aumento del benessere non è diventato più aperto, come alcuni speravano, ma più repressivo. La leadership di Xi Jinping è caratterizzata dall’arbitrio, com’è stato evidente durante la pandemia di covid-19. La promessa di Deng Xiaoping, secondo cui i cittadini sarebbero stati lasciati in pace se non avessero fatto politica, è stata infranta, minando la fiducia nello stato e l’energia imprenditoriale da cui l’economia cinese traeva vantaggio. Per anni queste debolezze sono state nascoste dalla bolla immobiliare, che ora sta per scoppiare. Il regime esita a sostenere i consumi interni, perché questo porterebbe a una società civile più sicura di sé che potrebbe mettere in discussione il monopolio del partito. Il modello del capitalismo autoritario, che ultimamente ha guadagnato molti ammiratori, sta raggiungendo i suoi limiti.

La stagnazione metterebbe a rischio la stabilità di questo enorme paese, e alcuni temono che Xi potrebbe lanciarsi in qualche avventura militare. Una Cina che non cresce sarebbe un fardello per tutto il mondo. Forse Pechino troverà una via d’uscita temporanea, ma la sua brutale dittatura è un ostacolo alla scalata ai vertici dell’economia mondiale. ◆ gac

Un altro crimine saudita

Sapevamo che Mohammed bin Salman era pronto a tutto per consolidare il suo potere in Arabia Saudita e nella regione del Golfo, ma non immaginavamo che sarebbe arrivato a ordinare l’eliminazione dei migranti che osano varcare le sue frontiere. Mentre il principe ereditario copre d’oro i calciatori più famosi, sperando di sedurre così i giovani di tutto il mondo, secondo Human rights watch le sue guardie uccidono uomini, donne e bambini che cercano di entrare in Arabia Saudita dallo Yemen. Centinaia se non migliaia di etiopi sarebbero morti.

Secondo l’ong questi “crimini contro l’umanità” si svolgono “al riparo dallo sguardo del resto del mondo”, il che ricorda la guerra nello Yemen avviata più di otto anni fa da Bin Salman contro i ribelli houthi sostenuti dall’Iran. Il conflitto, combattuto con l’appoggio degli Stati Uniti, ha provocato 400mila vittime, tra cui molti bambini morti di sete e di fame. Il tutto al riparo dagli sguardi esterni, com’è avvenuto con l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, torturato e smembrato nell’ambasciata saudita a Istanbul perché Bin Salman non tollerava le sue critiche alla guerra. Il principe si sente al sicuro: siede su una montagna d’oro generata dal petrolio e vede i leader occidentali fare la fila per vendergli aerei militari o centrali nucleari.

La sorte dei migranti è una delle grandi tragedie di questo inizio di ventunesimo secolo. Bisogna denunciare con ancora più forza i responsabili, dalla fortezza Europa che lascia annegare le persone al largo delle sue coste, alla Tunisia che le manda a morire di fame e sete nel deserto, al regno saudita che non esita a sparargli. ◆ gac

Altro da questo numero
1526 - 25 agosto 2023
Abbonati a Internazionale per leggere l’articolo.
Gli abbonati hanno accesso a tutti gli articoli, i video e i reportage pubblicati sul sito.
Sostieni Internazionale
Vogliamo garantire un’informazione di qualità anche online. Con il tuo contributo potremo tenere il sito di Internazionale libero e accessibile a tutti.