Ann Goldstein conosce bene l’opera della scrittrice Elena Ferrante, forse meglio di chiunque altro nel mondo anglosassone. Ma non è particolarmente ansiosa d’incontrarla di persona. Goldstein è la traduttrice che ha reso accessibili al pubblico di lingua inglese i romanzi dell’autrice italiana, a cominciare dalla serie dell’Amica geniale. Come gli originali italiani, anche le traduzioni di Goldstein sono arrivate in testa alle classifiche di vendita. Ferrante è molto amata per le sue descrizioni sincere dell’amicizia tra adolescenti e delle sofferenze legate alla condizione femminile. Il nome Elena Ferrante è uno pseudonimo e la sua identità è ancora sconosciuta, nonostante i numerosi tentativi di scoprirla.

Goldstein comunica con lei attraverso l’editore italiano. “Il fatto di non poterle parlare direttamente non mi crea problemi”, spiega in collegamento su Zoom dal suo appartamento pieno di libri nel Green­wich village, a New York, negli Stati Uniti. “La persona che scrive i libri è la persona che conosco, chiunque sia. Io dialogo con l’autrice che sta dietro i romanzi”. Goldstein ridacchia, come fa spesso, anche se sta per dire una cosa che avrà già ripetuto un’infinità di volte: “E comunque no, non ho idea di chi sia Elena Ferrante. Di sicuro non sono io”.

Goldstein è nata nel 1949 ed è cresciuta nel New Jersey. Traduce libri italiani in inglese dall’inizio degli anni novanta, ma fino a quel momento era la copy editor della rivista The New Yorker. Era entrata in redazione nel 1974 e alla fine degli anni ottanta diventò la responsabile della revisione dei testi. Ha studiato greco antico all’università e sa leggere “abbastanza bene” in francese. L’italiano, invece, l’ha imparato insieme ai colleghi del New Yorker. Per tre anni di fila in redazione lessero la Divina commedia di Dante. All’epoca Goldstein aveva quasi quarant’anni, un’età in cui imparare una nuova lingua è più difficile. “Non hai la stessa agilità e gli stessi automatismi che i bambini assimilano con naturalezza”, spiega. “Ma puoi comunque arrangiarti” .

Goldstein ha lasciato il New Yorker nel 2017, e da allora lavora esclusivamente come traduttrice. Ancora oggi segue molte regole grammaticali che ha interiorizzato nei quarant’anni vissuti in redazione. “Per esempio quella della virgola seriale (l’uso della virgola prima della congiunzione), che per qualche assurdo motivo nessuno usa più, anche se è utilissima”, dice.

Le due metà della sua carriera sono state molto diverse, ma in qualche modo si sovrappongono. “Le correzioni, il copy editing e le revisioni sono questioni di dettagli, e naturalmente per i traduttori i dettagli sono fondamentali. Bisogna concentrarsi su termini e frasi specifiche, sul modo in cui le parole si combinano tra loro. Bisogna essere più precisi possibile, scegliere cosa si ritiene più adatto, dalla grafia fino al modo in cui le parole sono usate”.

Non si considera una scrittrice, ma condivide il pensiero del critico Cesare Garboli, secondo cui “per tradurre bisogna essere un attore”

Diario proibito

Goldstein parla con grande consapevolezza della sua lingua e si corregge spesso, come se fosse costantemente alla ricerca del modo migliore di trasmettere un significato. Indossa un maglione con il collo a v grigio, orecchini pendenti d’argento e occhiali dalla montatura spessa, da dove fanno capolino le sue sopracciglia: prima ondeggiano con eccitazione, poi si contraggono, quando cerca di concentrarsi, e infine, all’improvviso, si rilassano.

La sua traduzione più recente è Quaderno proibito di Alba de Céspedes. Pubblicato in Italia negli anni cinquanta, il romanzo, scritto in forma di diario dalla protagonista, Valeria Cossati, racconta la profonda insoddisfazione della donna per la vita che conduce nella Roma del dopoguerra. “Sono rimasta colpita da quanto sembri contemporaneo. Lo so, è un luogo comune, ma pare che parli degli stessi problemi che affliggono le donne oggi, anche se sono passati settant’anni. Le lotte quotidiane sono diverse, ma le difficoltà psicologiche sono molto simili”, dice Goldstein.

Il romanzo è stato ripubblicato nell’aprile 2022 anche in Italia, dove fino a pochi anni fa era fuori catalogo. È una riscoperta, una sorta di riaffermazione di un’autrice che aveva avuto grande successo in vita ma che la memoria culturale patriarcale aveva destinato all’oblio. Goldstein si è avvicinata a De Céspedes leggendo e traducendo La frantumaglia, una raccolta di lettere, saggi e interviste di Ferrante. La vita di De Céspedes è stata straordinaria e ha suscitato un interesse particolare in Goldstein, da sempre affascinata dal periodo bellico e del dopoguerra in Italia.

De Céspedes era la nipote di Carlos Manuel de Céspedes, l’uomo che guidò la rivolta di Cuba contro la Spagna e fu anche il primo presidente dell’isola. Nata a Roma, Alba si sposò a quindici anni ed ebbe un figlio a diciassette. Nel 1943, insieme al secondo marito, fuggì dalla capitale italiana durante l’occupazione nazista. “Passarono un mese nascosti in Abruzzo”, racconta Goldstein, strabuzzando gli occhi. “Scrisse un piccolo diario. È fantastico. Non so come abbia fatto, ma c’è riuscita. Erano nascosti nel bosco circondati dai tedeschi, che si avvicinavano sempre di più. È molto drammatico. Che vita emozionante, la sua”.

L’entusiasmo di Goldstein per le sue autrici – e per il suo ruolo nella riscoperta di una scrittrice come De Céspedes – è contagioso. La somiglianza tematica tra Quaderno proibito e molte opere di Ferrante è solo una coincidenza, spiega. “A quanto pare mi piacciono i libri che parlano di donne. In ogni caso ho tradotto molti romanzi scritti da donne e in particolare quelli narrati in prima persona. C’è qualcosa in loro che mi è molto congeniale, evidentemente”. Si ferma, poi aggiunge: “Ma in realtà sono sempre interessata a qualsiasi cosa”.

Non riesce a spiegare cosa la spinga di preciso a voler tradurre un libro invece di un altro. Preferisce le storie ambientate in Italia, ma a parte questo non cerca niente di particolare: “Nella maggior parte dei casi, anche se all’inizio non sembrano interessanti, alla fine mi conquistano per un motivo o per un altro, magari solo per questioni di traduzione o di lingua”.

Non si considera una scrittrice, ma condivide il pensiero del critico e traduttore Cesare Garboli, secondo cui “per tradurre bisogna essere un attore”.

“L’attore si esibisce”, spiega Goldstein. “La traduzione è un atto unico, una performance personale. Nessuno può farne un’altra uguale”. Pensa che la traduzione somigli anche a un puzzle: “Risolvi continuamente una serie di rompicapi, ma per riuscirci devi saperli decifrare”. Naturalmente non capita mai che ci sia una sola risposta possibile.

I numeri sono cambiati

Per molto tempo i critici dell’editoria hanno parlato del “problema del 3 per cento”, ovvero del fatto che solo il 3 per cento dei libri in inglese fosse tradotto da un’altra lingua (la statistica riguarda sia gli Stati Uniti sia il Regno Unito).

Nei trent’anni in cui Goldstein ha lavorato come traduttrice, però, i numeri sono cambiati. “Oggi c’è molta più apertura alle altre lingue”, spiega, sottolineando l’importanza della diffusione di piccoli editori come New Directions e Archipelago Books negli Stati Uniti. “Il fenomeno Ferrante”, come lo definisce Goldstein, ha aiutato i traduttori a ricevere finalmente il riconoscimento che meritano. “Anche perché il fatto che l’autrice sia sconosciuta ha spinto le persone ad accorgersi della presenza di una traduttrice”, aggiunge.

Goldstein ama la cultura italiana, ma sente l’obbligo morale di leggere traduzioni di libri scritti in altre lingue. “Farlo ti apre a nuove culture. Soprattutto negli Stati Uniti siamo tutti molto concentrati su noi stessi, molto solipsisti”, dice, ridendo dopo aver fatto una pausa. “Qual è la parola giusta? Be’, solipsisti può andare. Le persone non fanno molto caso alle altre culture. Non gli interessano, non vogliono imparare niente di nuovo. Non vogliono capire il modo di pensare degli altri, dei loro vicini. In realtà più cose conosci e meglio è. Avere una percezione allargata del mondo, inevitabilmente, ti rende migliore”. ◆ as

Biografia

1949 Nasce a Maplewood, nel New Jersey, negli Stati Uniti.
1973 Si laurea in filologia a Londra e, tornata negli Stati Uniti, comincia a lavorare per la rivista Esquire.
1974 Entra nella redazione del New Yorker come copy editor.
1987 Comincia a studiare l’italiano leggendo La divina commedia di Dante.
2017 Lascia il New Yorker e si dedica solo alla traduzione.
2012 Esce la sua traduzione in inglese dell’Amica geniale di Elena Ferrante.


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Questo articolo è uscito sul numero 1525 di Internazionale, a pagina 66. Compra questo numero | Abbonati