Il disastroso naufragio nei pressi di Pylos, sulla costa greca, arriva in un momento complicato per Atene. Secondo la guardia costiera greca ci sarebbero circa seicento dispersi. I migranti – soprattutto donne, anziani e bambini – viaggiavano stretti gli uni agli altri sul ponte e nella stiva del peschereccio di trenta metri che la notte tra il 13 e il 14 giugno si è rapidamente inabissato in un’area dove i fondali marini sono profondi più di cinquemila metri. Nella tragedia potrebbero aver perso la vita più di settecento persone.

Il 25 giugno i greci, che hanno un governo ad interim, votano alle elezioni legislative. Il premier uscente Kyriakos Mitsotakis, che spera in una maggioranza assoluta del suo partito Nuova democrazia (Nd, destra) per continuare a governare da solo, ha definito gli scafisti del peschereccio “dei bastardi”.

Quello che non è stato detto è che il governo di Mitsotakis scommette su una politica migratoria a dir poco restrittiva sotto ogni punto di vista, compresi i respingimenti, e si concentra sul controllo del confine terrestre e marino con la Turchia nella parte orientale del paese. Mitsotakis e i suoi sono perfino orgogliosi di una politica migratoria “severa ma giusta”, come continuano a ripetere, e la maggior parte dei greci sembra essere d’accordo con loro.

Secondo gli osservatori, i partiti di sinistra all’opposizione, come Syriza o Mera25, che hanno aspramente criticato la discutibile condotta delle autorità, potrebbero perfino perdere voti.

La procura di Kalamata, nel sud della Grecia, ha avviato un’indagine sul naufragio. In una circolare il procuratore capo Isidoros Dogiakos ha chiesto ai pubblici ministeri di trattare la questione “con la massima segretezza”. Resta da capire se Dogiakos, nominato dal governo Mitsotakis, voglia davvero che la giustizia ottenga dei risultati, dal momento che potrebbero mettere nei guai le autorità. Di sicuro Dogiakos non ha cercato la notorietà con il grande scandalo delle intercettazioni che ha fatto tremare il governo di Atene: è passato quasi un anno e le indagini non hanno fatto progressi. Alla fine di giugno Dogiakos andrà in pensione. Se Mitsotakis vincerà le elezioni, dovrà scegliere il suo successore.

Il portavoce della guardia costiera greca, l’ufficiale Nikos Alexiou, ha orgogliosamente rivendicato in tv il salvataggio di 104 persone nel disastro. Non ha pronunciato neanche una parola di autocritica, lasciando intendere che la versione ufficiale è: “Abbiamo fatto le cose per bene”. Ma la tragedia poteva essere evitata.

Addio per sempre

Navi mercantili, da crociera, da guerra, contrabbandieri che trasportano droga, armi o migranti: i greci controllano rigorosamente giorno e notte la zona di ricerca e soccorso di loro competenza con grande impiego di persone e mezzi, anche quando si tratta di acque internazionali. Partito dall’Egitto, il peschereccio aveva fatto scalo a Tobruk, nella Libia orientale. La sua destinazione era l’Italia. È difficile credere che i greci abbiano saputo dell’ingresso del peschereccio nella zona di ricerca e soccorso in mare (Sar) di loro competenza solo il 13 giugno intorno alle 11, circa quindici ore prima dell’avaria. È quello il momento in cui la guardia costiera italiana ha informato i colleghi greci, secondo la versione ufficiale di Atene. Invece di intervenire, i greci hanno lasciato che il peschereccio continuasse la sua lenta navigazione verso nord attraverso la loro zona Sar, a quanto sembra per molto tempo. La strategia è chiara: la barca dei migranti voleva solo attraversare la zona Sar greca. In pratica le autorità hanno chiuso un occhio in alto mare, un po’ come dire: “Buon viaggio, addio per sempre!”.

Ma probabilmente l’Italia governata da Giorgia Meloni, una presidente del consiglio post-fascista e contraria all’immigrazione, aveva qualcosa da ridire. L’informazione alla guardia costiera è arrivata da un avvertimento dell’assistente sociale italo-marocchina Nawal Soufi, attivista per i diritti umani che da giorni era in contatto con i passeggeri del peschereccio.

Cosa ha fatto la Grecia a quel punto? Ha perso tempo. Solo alle 13.50, quasi tre ore dopo la comunicazione ufficiale da Roma, un elicottero della guardia costiera greca è decollato per localizzare il peschereccio. Lo ha dichiarato il responsabile del centro di coordinamento di Atene per le ricerche e il salvataggio in mare (Ls-Elakt). L’elicottero è partito da una base a Lesbo, all’estremità dell’Egeo orientale, per localizzare un peschereccio che si trovava esattamente dalla parte opposta dell’area di ricerca e soccorso greca.

Dalle 15.35 le motovedette della guardia costiera e una fregata della marina greca hanno scortato la nave. La fregata è la Kanaris F-464: lunga 130 metri, ha quasi duecento uomini a bordo ed è dotata di un cannone Oto-Melara da 76 mm, quattro tubi lanciasiluri di tipo Mk 46, otto missili Rgm-84 harpoon e otto missili Rim -7 sea sparrow. A disposizione c’era anche la nave di salvataggio Aigaion Pelagos, considerata una delle migliori imbarcazioni di soccorso della Grecia e di tutta Europa, con perfino un ospedale a bordo. Ma l’Aigaion Pelagos è rimasta ormeggiata nel porto di Gytheio, una città non lontano da Pylos, nel sud del Peloponneso. A quanto pare, con grande stupore degli esperti, dal centro di coordinamento di Atene Ls-Elakt non è mai arrivata la richiesta di soccorrere il peschereccio.

Armi invece di scialuppe

A bordo del peschereccio i migranti, già in pericolo, hanno visto una nave da guerra con cannoni spianati al posto delle scialuppe. Devono essersi sentiti più spaventati che rassicurati, mentre la fiducia, come sottolineano gli esperti, è il presupposto indispensabile per qualsiasi soccorso in mare. Invece dei giubbotti di salvataggio, i migranti hanno ricevuto acqua e viveri da una nave cargo. Fino all’ultimo, nessun passeggero ha mai avuto un giubbotto di salvataggio. Forse anche questo è stato un chiaro messaggio dei greci: “Proseguite verso l’Italia”.

Finalmente, dopo aver localizzato il peschereccio con l’elicottero decollato da Lesbo, il centro di coordinamento di Atene Ls-Elakt ha incaricato la nave 920 della guardia costiera di raggiungerlo. Ma la nave aveva molta strada da fare, ha dovuto letteralmente inseguire il peschereccio: al momento delle istruzioni arrivate da Atene si trovava infatti molto più a sud, nel porto della Canea, sulla costa occidentale di Creta.

Di conseguenza, stando alla versione ufficiale, la nave 920 ha raggiunto il peschereccio solo alle 22.40 del 13 giugno, circa tre ore e mezzo prima dell’incidente. Ma è rimasta “a distanza”. Ancora una volta non c’è stato nessun tentativo di salvataggio in mare. All’1.40 del 14 giugno il capitano del peschereccio ha comunicato un’avaria al motore, secondo il resoconto di Atene. Venti minuti dopo la nave ha avuto un improvviso sbandamento, si è ribaltata e in pochi minuti è affondata.

Da sapere
Nel Mediterraneo
Migranti e richiedenti asilo arrivati via mare in Italia, a Cipro e Malta, e via terra in Grecia e Spagna, milioni (The Guardian, Unhcr)
Persone morte e disperse nel tentativo di arrivare in Europa, migliaia (The Guardian, Unhcr)

Il dovere di soccorrere

Se i superstiti dicono il vero, la nave 920 ha tentato di rimorchiare il peschereccio con una corda nelle vicine zone di ricerca e soccorso dell’Italia o di Malta. Si tratterebbe di un tentativo di allontanamento dalla zona Sar greca verso quella di un altro paese dell’Unione europea. Atene nega: non c’è stato nessun tentativo di trainare la barca dei migranti. La guardia costiera greca ripete di aver offerto più volte aiuto al peschereccio, che però l’avrebbe rifiutato.

Per l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu che si occupa di rifugiati, e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) è un’assurdità. In una dichiarazione congiunta affermano: “Sia i comandanti delle navi sia gli stati hanno l’obbligo di assistere le persone in pericolo in mare, indipendentemente dalla nazionalità, dallo status o dalle circostanze, comprese quelle a bordo di navi non idonee alla navigazione, e dalle intenzioni di chi è a bordo”. Il “dovere di soccorrere tempestivamente le persone in pericolo è una regola fondamentale del diritto internazionale marittimo”.

Di tutti i passeggeri del peschereccio sono state salvate solo 104 persone, uomini. Erano caduti o saltati in mare dal ponte quando l’imbarcazione si era capovolta ed era andata a fondo alle 2.04 del 14 giugno. La grande operazione di ricerca e soccorso nel mar Ionio, a 47 miglia nautiche dalla costa sudoccidentale del Peloponneso e dalla piccola città costiera di Pylos, finora non ha individuato altri cadaveri (il 19 giugno ne sono stati ritrovati tre).

Le autorità greche non sono nemmeno riuscite a tenere il conto dei corpi recuperati. Prima erano 78, poi 79, poi il numero è stato nuovamente corretto a 78. “Abbiamo contato male”, è stata la laconica spiegazione. Secondo la guardia costiera greca, i dispersi sarebbero 568.

Tra i superstiti ci sono 47 siriani (di cui tre minorenni), 43 egiziani (cinque minorenni), dodici pachistani e due palestinesi. La maggior parte è stata portata in autobus da Kalamata al campo profughi di Malakasa, a nord di Atene. Una ventina di persone è ancora ricoverata nell’ospedale di Kalamata. Tra i 104 salvati ci sono anche nove egiziani che, secondo le autorità greche, avrebbero fatto da scafisti sul peschereccio arrugginito.

Uno di loro ha confessato, gli altri si dichiarano innocenti, riferiscono i mezzi d’informazione greci. Sono stati portati davanti al pubblico ministero di Kalamata il 19 giugno, le autorità greche hanno pubblicato le foto dei loro volti e rischiano lunghe condanne al carcere. Per gli altri 95 superstiti è stata avviata la procedura di asilo in Grecia. ◆ nv

Da sapere
Polemiche e smentite

◆ Nella notte tra il 13 e il 14 giugno 2023 un’imbarcazione partita da Tobruk, in Libia, e diretta in Italia con a bordo centinaia di migranti naufraga al largo delle coste della Grecia. Sono soccorse 104 persone (47 siriani, 43 egiziani, dodici pachistani e due palestinesi) e recuperati 78 cadaveri (altri tre il 19 giugno). Secondo le prime testimonianze, a bordo ci sarebbero state tra le 700 e le 750 persone, di cui almeno quaranta bambini, che probabilmente erano nella stiva. Secondo l’Unhcr, l’agenzia dell’Onu per i rifugiati, potrebbe essere il secondo naufragio più grave avvenuto nel Mediterraneo dopo quello dell’aprile 2015, quando più di mille persone morirono al largo della Libia. Nove egiziani sono stati arrestati con l’accusa di traffico illegale di esseri umani. Le autorità di Atene hanno affermato che per tutto il pomeriggio del 13 giugno la guardia costiera greca era stata in contatto con l’imbarcazione, che non era in difficoltà e procedeva a velocità spedita. I migranti avrebbero rifiutato qualsiasi aiuto. Ma i dati di tracciamento smentiscono questa ricostruzione, confermando invece che la barca è rimasta ferma per ore. Secondo le organizzazioni per la difesa dei diritti umani e diversi esperti, la guardia costiera greca sarebbe dovuta intervenire prima per soccorrere le persone a bordo. Bbc, The Guardian, Afp


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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati