Nel 2014 Raqqa, la capitale dell’autoproclamato Stato islamico (Isis), era diventata una sorta di punto di raccolta del jihad globale. Migliaia di foreign fighters (combattenti stranieri) arrivavano in Siria da vari paesi e si raggruppavano per nazionalità. Chi veniva dalla Francia o semplicemente voleva sapere dove trovare un croissant, non doveva far altro che chiedere in un caffè pieno di francesi. Decine di migliaia di foreign fighters provenivano da posti lontanissimi, come il Cile e il Giappone. Solo dalla Russia ne arrivarono quattromila, secondo il presidente Vladimir Putin. Gli unici paesi con numeri comparabili erano la Tunisia e la Turchia.

Il 22 marzo 2024 un gruppo di terroristi ha ucciso almeno 140 persone in una sala concerti alla periferia di Mosca. L’Isis ha rivendicato l’attacco attraverso la sua agenzia di stampa Amaq, con il solito linguaggio che oscilla tra la fredda cronaca e la rabbiosa follia. Il comunicato diceva che c’era stato un attacco “contro un vasto raduno di cristiani”, strano modo di descrivere un concerto prog-rock non religioso. Alcuni video diffusi online mostrano uomini armati che sparano contro persone accalcate e ne braccano altre. Lo stile ricorda il massacro del Bataclan, commesso dall’Isis a Parigi nel 2015, e l’attacco di Hamas, un nemico dell’Isis, contro Israele il 7 ottobre 2023. Il resoconto di Amaq riferiva che gli assassini si erano “ritirati nelle loro basi”, facendo intendere che avrebbero potuto attaccare di nuovo, e che avevano più di un posto dove nascondersi. Ma poco dopo il governo russo ha dichiarato che i quattro attentatori erano già stati arrestati, insieme ai loro complici. Putin ha detto che erano in fuga verso il confine ucraino.

Centro di gravità

In Russia, come in molti stati autoritari, le voci si diffondono rapidamente dopo eventi sconvolgenti. Molti hanno ripetuto la teoria folle secondo cui l’Isis sarebbe stato creato dagli Stati Uniti. Garry Kasparov, campione di scacchi e dissidente russo in esilio, ha insinuato che la Russia avesse attaccato se stessa per fomentare i sentimenti etnonazionalisti tra la popolazione.

L’allusione di Putin al coinvolgimento dell’Ucraina ha poco senso. È difficile credere che gli uomini più ricercati della Russia si siano messi a bordo di una Renault bianca diretti verso la zona più militarizzata e controllata dell’intera regione, quando avrebbero potuto invece andare in qualsiasi altra direzione e ritrovarsi da soli in mezzo a un bosco di betulle. Ma le parole del presidente fanno pensare che la Russia voglia usare questo attentato per aumentare l’intensità degli attacchi contro l’Ucraina.

La connessione tra la società russa e l’Isis è frutto di una convergenza di fattori

Se si osserva la storia recente della Russia, non sorprende che l’Isis abbia deciso di colpirla. Negli ultimi tempi il gruppo si è riorganizzato, soprattutto nella sua divisione afgana (Isis-K), che secondo i servizi segreti statunitensi è responsabile dell’attacco del 22 marzo. “L’Isis-K ha assunto un ruolo più centrale nella pianificazione di attentati all’estero”, mi dice Tore Hamming, ricercatore esperto di jihadismo alla Refslund Analytics, società di consulenze nella gestione dei rischi. Per Hamming alcuni eventi recenti, come gli arresti di sospetti miliziani in Turchia, lasciano pensare che il gruppo stia pianificando attentati al di fuori della sua consueta area di azione.

Tacita benedizione

Nel suo periodo di massimo splendore, l’Isis ha avuto un enorme contingente russo e centro-asiatico. E le fratture nella politica e nella società russe facevano presagire da tempo attacchi sanguinosi come quello del 22 marzo.

Quasi un cittadino russo su cinque è musulmano, ma la popolazione non è distribuita in modo uniforme a livello geografico e socioeconomico. Nelle città molti tassisti e lavoratori poveri si chiamano Magomedov e Ismailov, cognomi che indicano le loro origini musulmane. Spesso queste persone hanno radici nei paesi a maggioranza musulmana dell’Asia centrale e si sono spostate in Russia in cerca di lavoro. Una grande percentuale dei combattenti dell’Isis provenienti da questi paesi sono passati dalla Russia e lì hanno sviluppato tendenze violente, lontani dall’influenza moderatrice di amici e familiari. I quattro presunti terroristi arrestati sarebbero originari del Tagikistan, una repubblica centroasiatica al confine con l’Afghanistan.

Il cuore geografico dell’islam in Russia è il Caucaso settentrionale, teatro di conflitti interni e spargimenti di sangue che risalgono a secoli fa. Alcuni gruppi del Dagestan e della Cecenia sono diventati guerriglieri, e Putin ha perfezionato i suoi metodi brutali contro di loro durante i conflitti ceceni degli anni novanta e duemila. Quelle guerre si sono concluse con una netta vittoria russa e con l’insediamento al potere di Ramzan Kadyrov, fedele alleato del presidente russo, che ha permesso a Mosca di governare indirettamente la Cecenia. La lealtà di queste persone è tale che due anni fa, nei primi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina, i ceceni sono stati tra i primi ad andare a combattere per Putin.

Il problema è che le vittorie nette non sono mai nette come sembrano. La maggior parte degli abitanti delle regioni un tempo ribelli del Caucaso vuole vivere in pace come tutti. Ma è facile fiutare il malcontento. L’ultima volta che sono stato in Dagestan un tassista si è affrettato ad abbassare il volume della radio quando è partita una canzone jihadista: ci sono persone che non vedono l’ora di combattere.

L’ascesa dell’Isis è stata utile per Mosca, contenta che i jihadisti russi andassero a combattere in un conflitto lontano, dove avevano alte probabilità di morire. Chiunque avesse intenzione di imbracciare le armi in Iraq o in Siria poteva farlo con la tacita benedizione del governo russo. Questo è uno dei motivi per cui il numero di miliziani del gruppo Stato islamico provenienti dalla Russia era così alto: in un certo senso erano autorizzati a partire, così si sarebbero fatti saltare in aria o sarebbero stati uccisi laggiù, invece di creare problemi dentro i confini russi. Molti di quelli che se ne sono andati sono morti, come si sperava. Altri no, e in molti casi non hanno perso il loro fervore. Hanno solo bisogno di nuovi obiettivi da colpire.

In altre parole, la connessione tra la società russa e l’Isis è frutto di una convergenza di fattori. La crudeltà delle uccisioni e anche la scelta del luogo – una sala concerti – sono spaventosamente familiari per chiunque conosca il jihadismo in Russia. Anche quello che succederà in seguito è familiare. Dopo gli orrendi video e le rivendicazioni, sarà il momento della brutale reazione dello stato russo. Resta da vedere se questa reazione si abbatterà sui veri responsabili oppure no. ◆ fdl

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Questo articolo è uscito sul numero 1556 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati