diplomazia

Se si considera il contesto in cui si è svolta, la visita in Cina del segretario di stato statunitense Antony Blinken è andata bene. Il capo della diplomazia statunitense ha detto di aver avviato un dialogo “costruttivo” con il presidente cinese Xi Jinping e con gli altri interlocutori a Pechino, tra cui Wang Yi, il più alto funzionario della politica estera cinese. Le due delegazioni hanno espresso il desiderio di stabilizzare un rapporto che sembra intrappolato in una “spirale discendente”, come ha detto Wang. Dai resoconti ufficiali emerge la volontà comune di trovare un modo per andare d’accordo nonostante le tensioni.

Ma la strada verso la distensione è lunga e piena di ostacoli. Gli esperti e i politici, sia negli Stati Uniti sia in Cina, considerano “l’altro” una potenza rivale e pensano che i due paesi siano destinati a scontrarsi. Le tensioni su questioni come lo status di Taiwan o le attività di Pechino nel mar Cinese meridionale sono peggiorate, mentre si sono chiusi importanti canali di comunicazione. Blinken non è riuscito a convincere la Cina a riaprire il dialogo diretto tra i due eserciti, un passo avanti che i funzionari statunitensi hanno cercato di favorire negli ultimi mesi nel timore che un incidente militare possa involontariamente innescare un conflitto.

A Washington i leader repubblicani del congresso hanno attaccato Blinken per la decisione di andare in Cina. La linea dura contro Pechino, condivisa da molti democratici, ha ridotto il margine di manovra dell’amministrazione Biden, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali del 2024. Anche il governo cinese deve fare i conti con sentimenti nazionalisti, specie alla luce del calo della crescita economica.

Blinken ha sottolineato che gli Stati Uniti non vogliono rovinare i rapporti commerciali con la Cina. “Vogliamo solo ridurre i rischi”, ha detto, riferendosi alle misure di controllo delle esportazioni verso la Cina di prodotti tecnologici considerati cruciali, come i semiconduttori. È lo stesso comportamento di altri leader occidentali, tra cui il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che il 19 giugno ha ricevuto il primo ministro cinese Li Qiang a Berlino.

Xi ha ribadito che la Cina non vuole “sfidare” o “prendere il posto” degli Stati Uniti sulla scena mondiale, ma ha anche detto che “nessuno dei due paesi può plasmare l’altro in base ai propri desideri, né privarlo del diritto di crescere”. Pechino è infastidita perché pensa che gli Stati Uniti stiano cercando di frenarne l’ascesa.

Nei prossimi mesi potrebbero andare in Cina la segretaria del tesoro statunitense Janet Yellen, la segretaria del commercio Gina Raimondo e l’inviato per il clima John Kerry. È possibile che Biden incontri Xi a novembre a San Francisco, a margine del vertice dell’Asia-Pacific economic cooperation (Apec).

Sfiducia reciproca

Alcuni commentatori statunitensi pensano che l’amministrazione Biden potrebbe rafforzare la fiducia di Pechino cancellando alcuni dazi sui prodotti cinesi introdotti durante la presidenza di Donald Trump, che del resto hanno danneggiato i consumatori statunitensi. Ma non è chiaro fino a che punto la Casa Bianca sia disposta ad affrontare la prevedibile reazione negativa della destra statunitense.

Anche per i cinesi esistono limiti che non possono essere oltrepassati. Hanno chiarito a Blinken che “non c’è nessuna possibilità” di un compromesso su Taiwan e hanno accusato gli Stati Uniti di voler cambiare la delicata equazione che riguarda l’isola. Al momento lo stallo geopolitico nella regione sembra destinato ad aggravarsi, anche perché gli alleati degli Stati Uniti stanno rafforzando la cooperazione con Washington sulla sicurezza. Secondo Zhu Feng, direttore dell’istituto di studi internazionali dell’università di Nanchino, Biden non sembra interessato a invertire la rotta che porta allo scontro, e questo alimenta la tensione. “La Cina può sfruttare questa occasione per sottolineare che se gli Stati Uniti non vogliono tenere conto delle sue preoccupazioni, allora neanche Pechino può farsi carico di quelle di Washington”. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1517 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati