Riposa in pace, Silvio. L’uomo che per quattro volte è riuscito a diventare capo del governo italiano non è più tra noi. Dopo la sua morte, avvenuta il 12 giugno 2023, in molti hanno parlato della fine di un’era. In realtà è vero il contrario. L’aspetto più sorprendente del berlusconismo è il fatto che duri ancora. Il logoramento della democrazia italiana, l’autoritarismo imposto con una strizzatina d’occhio, la capacità di sfruttare il potere dei mezzi d’informazione e la distruzione del cordone sanitario fra la destra tradizionale e l’estrema destra – che ha spianato la strada al governo di Giorgia Meloni – sono stati un’anticipazione di ciò che l’Europa (insieme agli Stati Uniti) ha vissuto nell’ultimo decennio. Come ha scritto lo storico David Broder, Berlusconi sopravvive come “un’icona del nostro tempo, segnato dal postmoderno e dalla post-verità”.

È vero anche che la politica italiana è stata sempre anomala. Tra gli anni cinquanta e ottanta l’incrollabile dominio della Democrazia cristiana (Dc) e la presenza di un Partito comunista (Pci) con un seguito di massa crearono un panorama politico particolare che durò fino all’inizio degli anni novanta, quando entrambi i suoi pilastri crollarono: la Dc a causa degli scandali di corruzione e il Pci sulla scia della fine dell’Unione Sovietica.

Anche il vuoto che si creò, e che fu occupato prepotentemente da Berlusconi, era insolito. Negli ultimi decenni l’instabilità politica ha toccato molti paesi, ma in Italia ha avuto caratteristiche tutte sue, che poi si sono ripetute in qualche modo altrove. Per questo, con il passare del tempo la politica italiana è diventata una sorta d’indicatore delle tendenze future.

Un altro paese che affaccia sul Mediterraneo, la Spagna, ha seguito una traiettoria molto diversa. Nel 1994, l’anno in cui Berlusconi arrivava al potere per la prima volta, il socialista Felipe González governava ininterrottamente da dodici anni. Mentre la politica italiana era agitata, ibrida e frammentata, quella spagnola era stabile, dominata da due partiti e molto più simile alla norma dell’Europa occidentale.

Solido ed efficace

La morte di Francisco Franco, nel 1975, era stata seguita da una rapida trasformazione verso un modello democratico che ricordava la Repubblica federale tedesca. Uno stato molto decentralizzato dominato da due partiti convenzionali: il Partito popolare (Pp), di centrodestra, e il Partito socialista operaio spagnolo (Psoe), di centrosinistra. Dopo González, premier dal 1982 al 1996, sono arrivati il conservatore José María Aznar (dal 1996 al 2004), il progressista José Luis Rodríguez Zapatero (dal 2004 al 2011), Mariano Rajoy del Pp (dal 2011 al 2018) e infine l’attuale premier Pedro Sánchez, eletto con il Psoe nel 2018.

Ma queste oscillazioni regolari del pendolo politico non riflettono i cambiamenti profondi che hanno attraversato la società nell’ultimo decennio. La crisi dell’eurozona e le sue conseguenze hanno colpito duramente la Spagna, mettendo fine al dominio dei due grandi partiti e frammentando il panorama politico. Sono emerse altre tre forze: la sinistra di Podemos, i centristi di Ciudadanos e l’estrema destra di Vox.

Le difficoltà economiche si sono combinate e forse hanno anche contribuito al rafforzamento del movimento indipendentista catalano, che ha ulteriormente complicato la situazione. Questo sviluppo ha avvicinato la Spagna – molto più dell’Italia – alle tendenze che hanno segnato l’Europa negli ultimi decenni, con un sistema bipartitico che è diventato instabile ed è scivolato nella polarizzazione culturale.

Sánchez è il risultato di questo ambiente. Ex consigliere comunale di Madrid, è arrivato al potere a sorpresa nel 2018, quando il primo ministro Rajoy è stato sfiduciato dal parlamento sull’onda di uno scandalo di corruzione. Durante il mandato di Sánchez il Psoe non ha mai avuto la maggioranza in parlamento. Dopo le elezioni del novembre 2019, il premier ha formato una coalizione di minoranza (la prima nella storia politica spagnola dagli anni trenta) con Unidas podemos, un partito nato dalla fusione di Podemos con una storica formazione di sinistra.

Il governo nato da quell’alleanza si è rivelato sorprendentemente solido ed efficace. È riuscito a far approvare una serie di misure di sinistra tra cui un rafforzamento del diritto all’aborto, la difesa dei diritti dei transgender e alcune leggi che hanno aiutato gli immigrati a uscire dal mercato nero e trovare un lavoro regolare. La Spagna di Sánchez è stata il primo paese europeo a concedere alle lavoratrici il congedo in caso di forti dolori mestruali.

A livello internazionale, Sánchez è stato il premier spagnolo più influente dai tempi di González, trasformando il suo paese in un importante “stato cardine” in Europa, una sorta di ponte tra Francia e Germania, tra sud e nord e sempre di più tra est e ovest. Anche se la recessione causata dalla pandemia ha colpito la Spagna in modo particolarmente violento, soprattutto per via del crollo del turismo, nel 2023 l’economia nazionale dovrebbe crescere più rapidamente rispetto a quelle di Germania, Francia e Italia. Nel 2022 le esportazioni hanno raggiunto livelli da record, mentre il tasso d’inflazione è tra i più bassi dell’eurozona. In una classifica pubblicata nel 2022 dall’Economist sui risultati economici di 34 paesi ricchi, la Spagna si è piazzata al quarto posto.

Ma tutto questo potrebbe non bastare a Sánchez per vincere le elezioni del 23 luglio. La crisi dei centristi di Ciudadanos, infatti, ha favorito il Pp, che dal 2022 è guidato da Alberto Núñez Feijóo, un conservatore moderato e poco appariscente che sembra aver conquistato gli elettori. Inoltre Sumar, nuovo partito di sinistra guidato dalla carismatica Yolanda Díaz (ministra del lavoro nel governo Sánchez) ha stretto un’alleanza con Unidas podemos, che è sempre meno a suo agio nei rapporti con il Psoe, nel tentativo di rafforzare al massimo la sinistra radicale. Sumar ha promesso di spingere verso sinistra qualsiasi futuro governo guidato dal Psoe.

Santiago Abascal, leader di Vox, 1 luglio 2023 (Samuel Aranda, The New York Times/Contrasto)

Coalizione necessaria

Se si tiene conto delle circostanze, l’attuale governo ha gestito bene l’economia, ma i tempi sono comunque difficili. La disoccupazione, anche se non è mai stata così bassa negli ultimi quindici anni, resta un grande problema (12,7 per cento). Il 28 maggio il Pp ha sconfitto nettamente il Psoe alle elezioni municipali e regionali. Questi fattori, nel loro complesso, lasciano prevedere che Feijóo sarà il prossimo premier, ma sarebbe imprudente dare per spacciato Sánchez, uno dei politici più tenaci del panorama europeo. Le tendenze appena descritte sono specifiche della Spagna. Ma la transizione del paese dal bipartitismo all’attuale contesto frammentato è uno dei tanti elementi comuni ad altri paesi. In questo senso, le imminenti elezioni spagnole anticiperanno il futuro della politica europea su almeno cinque aspetti. È chiaro che oggi bisogna guardare alla Spagna e non all’Italia per farsi un’idea del continente.

Il primo elemento riguarda la rottura del cordone sanitario che un tempo separava la destra tradizionale dall’estrema destra. Non è un aspetto nuovo nella politica europea, ma la Spagna sorprende per la vertiginosa rapidità con cui si è manifestato. Il partito di estrema destra Vox è stato fondato solo nel 2013, ma dal 2019 sostiene il governo del Pp in Andalusia, nel sud, una delle regioni più importanti del paese. E a marzo di quest’anno è entrato formalmente nella coalizione guidata dai popolari che amministra Castiglia e León, una regione a nord di Madrid. Questo modello si potrebbe ripetere a livello nazionale. Vox – un partito che è contro il femminismo e l’immigrazione, sostiene la caccia e la corrida, vorrebbe creare un confine militarizzato con il Marocco e difende posizioni culturali conservatrici – potrebbe dare l’appoggio esterno a un governo Feijóo o perfino entrare nella maggioranza.

L’elemento più sorprendente di un esecutivo di questo tipo non sarebbe la sua composizione – le similitudini con i nuovi governi in Italia e in Svezia e con quelli consolidati in Polonia e Ungheria la renderebbero più la norma che un’eccezione – ma il fatto che in Europa non scandalizzerebbe più nessuno. Il governo spagnolo aprirebbe una finestra sul futuro non tanto per la sua natura ma per la mancanza di reazioni che susciterebbe.

Nel 2000 l’Unione europea impose una serie di sanzioni economiche al leader conservatore austriaco Wolfgang Schüssel, colpevole di aver collaborato con l’estrema destra. Oggi un accordo tra Feijóo e Vox non creerebbe particolari problemi a Bruxelles. L’ascesa dell’estrema destra nella politica europea sembra un fenomeno difficile da arrestare. I cambiamenti sociali e le trasformazioni causate dalla crisi climatica (compresi i nuovi flussi migratori) potrebbero anzi rafforzarlo. Il secondo aspetto riguarda la sinistra. Dopo le elezioni i progressisti spagnoli potrebbero cambiare strategia, anticipando le dinamiche in altri paesi. Nel 1982 González vinse le elezioni con il 48 per cento dei voti. Nel 1996, quando venne battuto, arrivò comunque al 38 per cento. Sánchez invece non è mai andato oltre il 29 per cento.

Anche se dovesse ribaltare i pronostici e vincere le elezioni, è difficile che il Psoe superi il 30 per cento. Le possibilità di Sánchez di restare al potere dipendono dall’alleanza Sumar-Podemos e dal risultato dei piccoli partiti regionali in Catalogna e nei Paesi Baschi.

Le precipitazioni si sono ridotte e la frequenza di incendi boschivi è aumentata

Anche qui la Spagna incarna una realtà più generale: in Europa i governi di centrosinistra possono esistere solo stringendo alleanze (più o meno formali) tra la sinistra radicale, il centrosinistra socialdemocratico e il centro liberale. Se queste forze si presentano divise alle urne, difficilmente possono andare al governo. Trovare un’intesa tra le varie espressioni del centrosinistra è estremamente difficile, ma quando succede si ha il vantaggio di poter cavalcare le tendenze del nostro tempo. Il programma di politica economica di Sánchez, favorevole agli investimenti pubblici, è in linea con la svolta operata dall’amministrazione Biden negli Stati Uniti. Anche solo su questo piano, l’occidente si sta moderatamente avvicinando alle posizioni della sinistra. Per innescare questi cambiamenti nei sistemi politici europei, è fondamentale formare coalizioni ampie.

Un paese vuoto

Il terzo elemento riguarda il modo in cui la politica risponde ai conflitti identitari. Sánchez è diventato premier poco dopo il referendum sull’indipendenza della Catalogna del 2017, tecnicamente illegale. Il paese che ha ereditato da Rajoy era ancora segnato dal trauma di quel momento drammatico, che l’anno successivo sarebbe sfociato nelle condanne durissime inflitte ai leader secessionisti (che a loro volta hanno alimentato una nuova ondata di manifestazioni indipendentiste).

Eppure Sánchez è riuscito a calmare la situazione, adottando un atteggiamento più tollerante verso il movimento indipendentista, ordinando la scarcerazione di nove leader e riformando l’obsoleta legge sulla sedizione che ne aveva permesso la condanna. L’atteggiamento più aperto di Madrid è uno dei motivi per cui oggi il sostegno all’indipendenza si è ridotto.

Anche in questo la Spagna anticipa l’Europa del futuro. Non ci sono dubbi sul fatto che gli aspetti identitari saranno più centrali in un’epoca segnata dai social network e dalla polarizzazione. Resta da capire come risponderà la politica. Oggi si tende spesso a sfruttare le tensioni per ottenere benefici immediati. D’altronde alimentare l’odio contro un gruppo esterno è molto più semplice che costruire consenso intorno a un modo di fare politica propositivo e nuovo. Anche se con qualche esitazione, Sánchez ha scelto la strada più difficile, cercando di far progredire la società senza sfruttare le divisioni. Forse lo sforzo non basterà al premier per essere rieletto il 23 luglio, ma sposta l’attenzione su un punto che sarà sempre più importante nella politica europea.

Un quarto aspetto riguarda le dinamiche demografiche. In Spagna il tasso di natalità è in costante diminuzione: si è passati dalle 408.734 nascite del 2016 alle 336.823 del 2021. In un paese dove il numero dei migranti aumenta e la società resta relativamente favorevole all’immigrazione (nonostante la crescita di Vox), questo fenomeno evidenzia il grave impatto demografico che la crisi ha avuto sull’eurozona.

Il risultato è un paese geograficamente vasto (il più grande dell’Europa occidentale dopo la Francia), con una popolazione concentrata in densi conglomerati urbani (Madrid, Barcellona, Valencia, Siviglia) e con ampi spazi vuoti. Se salite su uno dei treni ad alta velocità che partono da Madrid, nel centro della penisola, e raggiungono le grandi città vicino alla costa, vedrete dal finestrino un panorama fatto di pianure desertificate e piccoli centri quasi disabitati.

Negli ultimi anni questa realtà ha fatto emergere e crescere Vox, che oltre ai temi tipici dell’estrema destra, come l’immigrazione e l’Europa, ha lanciato messaggi mirati per conquistare gli elettori delle zone rurali, convinti di essere stati trascurati. Quelle persone sono attirate anche da formazioni come Teruel existe, un partito della provincia nordorientale di Teruel, che denuncia la mancanza di attenzione delle forze politiche tradizionali nei confronti della España vacía, la Spagna vuota.

La España vacía di oggi è l’Europa vuota di domani. Mentre il continente invecchia inesorabilmente, lo spopolamento dei piccoli centri europei sarà una priorità sociale. Le carenze di manodopera diventeranno più gravi e renderanno indispensabile un approccio più pragmatico all’immigrazione. Trovare persone disposte a occuparsi di campagne abbandonate sarà sempre più difficile.

L’esempio olandese

Il quinto aspetto riguarda la crisi climatica, che crea nuove divisioni politiche. L’elemento che unisce la Spagna urbana del progetto di Sánchez alla Spagna vuota di Vox e di Teruel existe è l’esperienza viscerale del cambiamento climatico. Il 2022 è stato l’anno più caldo mai registrato in Spagna e il terzo più secco, un record che a giudicare dalle temperature attuali (fino a 44 gradi a giugno) verrà battuto nel 2023.

Le precipitazioni si sono ridotte, la frequenza di incendi boschivi è aumentata e nelle regioni del sud, dove la carenza d’acqua è ormai drammatica, la siccità sta spingendo gli elettori tra le braccia di Vox.

Da sapere
La destra favorita
Stima dei seggi nel prossimo parlamento sulla base dei sondaggi, e confronto con il parlamento attuale (Fonte: El País)

In Andalusia il Pp, che governa con l’appoggio di Vox, vuole autorizzare il prelievo dell’acqua dalle paludi di Doñana, nel delta del fiume Guadalquivir, dichiarate patrimonio mondiale dell’umanità dall’Unesco. Sánchez e i suoi alleati a Madrid si oppongono a questa misura. La disputa è finita a Bruxelles, dove i conservatori nel parlamento europeo hanno accusato la Commissione, schierata con il primo ministro, di interferire nella campagna elettorale spagnola.

Queste contrapposizioni sulla crisi climatica e sul modo di affrontarla sono evidenti anche in altri stati europei. Prendiamo per esempio le elezioni provinciali olandesi di marzo, in cui un partito di destra (Movimento civico-contadino) ha superato i liberali del primo ministro Mark Rutte grazie alla forte opposizione degli abitanti delle campagne ai nuovi limiti sulle emissioni di azoto.

I Paesi Bassi sono particolarmente vulnerabili al cambiamento climatico e in particolare all’innalzamento del livello dei mari. Tuttavia, l’esperienza vissuta con le temperature fuori controllo lascia pensare che la Spagna subirà gli effetti estremi del cambiamento climatico prima del resto del continente. In base alle tendenze attuali, città come Siviglia o Madrid saranno presto inabitabili durante i mesi estivi.

Questo è il futuro della Spagna, e a lungo termine anche dell’Europa. Se non ci saranno cambiamenti radicali, nel 2030 la politica di molti stati europei sarà definita dalla fine della distinzione tra il conservatorismo tradizionale e l’estrema destra, mentre la sinistra potrà vincere solo formando coalizioni ampie.

Le nuove dinamiche contrapporranno le politiche identitarie vuote ma seducenti a politiche concrete e lungimiranti. I piccoli centri, soprattutto nelle aree rurali, si svuoteranno progressivamente e i loro giovani si trasferiranno in città.

La crisi climatica sarà un altro elemento capace di ribaltare l’ordine politico continentale, rafforzando i populisti e i verdi di oggi e altri politici dell’Europa vuota del futuro.

Ma la Spagna ha mostrato anche incoraggianti punti di forza. Le più grandi città del paese sono dinamiche e creative come poche altre in Europa. La società è tollerante pur mantenendo un profondo attaccamento alle tradizioni. Lo stato ha saputo combinare meglio di molti altri la modernità liberale con l’attenzione per le comunità e il senso d’appartenenza.

Il fatto che la popolazione spagnola stia invecchiando è un altro segnale della sua salute. Secondo le previsioni, infatti, l’aspettativa di vita nel paese dovrebbe superare quella del Giappone nel 2040, diventando la più alta al mondo. Negli ultimi anni, inoltre, il governo spagnolo si è guadagnato una maggiore influenza negli affari europei e internazionali.

La Spagna sarà in grado di affrontare le sfide che la attendono senza perdere i suoi aspetti migliori? Silvio Berlusconi aveva anticipato il nostro presente europeo. Nel bene e nel male, Pedro Sánchez e le sue battaglie ci mostreranno il nostro futuro. ◆ as

Da sapere
Voto anticipato

◆ Il 23 luglio 2023 in Spagna si tengono le elezioni legislative. Il voto era previsto inizialmente per dicembre, ma il premier socialista Pedro Sánchez (Psoe) ha deciso di anticiparlo dopo le regionali di maggio, in cui i partiti di governo sono stati nettamente sconfitti. Secondo i sondaggi, il Partito popolare (Pp, conservatore), è la prima forza del paese e potrebbe andare al potere con il sostegno di Vox, formazione di estrema destra. Il governo di Sánchez è piuttosto impopolare, anche se in quattro anni ha ottenuto risultati importanti. Dopo la pandemia il pil della Spagna è cresciuto molto più della media dell’Unione europea e le previsioni sono simili per il 2023. Inoltre il paese ha pagato meno di altri le conseguenze del conflitto in Ucraina, perché dipendeva meno dalle importazioni di gas russo, e questo gli ha permesso di tenere sotto controllo l’inflazione. El País


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Questo articolo è uscito sul numero 1521 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati