R ecep Tayyip Erdoğan è stato eletto presidente della repubblica per un terzo mandato. Costretto per la prima volta al ballottaggio, il leader del Partito giustizia e sviluppo (Akp) ha ottenuto il 52,1 per cento dei voti, mentre il suo sfidante Kemal Kılıçdaroğlu, del Partito repubblicano del popolo (Chp), si è fermato al 47,8 per cento. Erdoğan non avrebbe potuto candidarsi per la terza volta, ma lo ha fatto. Non avrebbe potuto usare le risorse dello stato a suo vantaggio, ma lo ha fatto. Non avrebbe dovuto ostacolare la campagna elettorale del suo rivale, ma lo ha fatto. Le elezioni non avrebbero dovuto essere solo libere, ma anche corrette, e non è stato così. Nonostante questa situazione l’opposizione ha partecipato al voto con la convinzione che avrebbe potuto sconfiggere il presidente. Senza preoccuparsi di violare i limiti imposti dalla costituzione e dai princìpi democratici, Erdoğan ha usato tutti i vantaggi offerti dalla sua posizione di potere e ha vinto. L’uomo al potere non è cambiato, ma come ha detto dopo la vittoria il leader del Partito del movimento nazionalista (Mhp) Devlet Bahçeli, principale alleato di Erdoğan, “nei prossimi giorni molte cose cambieranno. Tutto cambierà”. Se non fosse alleato dell’Akp, Bahçeli avrebbe ripetuto quello che aveva detto dopo le legislative del giugno 2015: “Queste elezioni non sono andate bene, guardiamo alle prossime”. È significativo il commento di un altro nazionalista turco, il leader del Partito della vittoria Ümit Özdağ, secondo cui Erdoğan ha ottenuto una “vittoria di Pirro”.

Circa 27 milioni di elettori vogliono che Erdoğan resti in carica, e 25 milioni hanno chiesto che se ne vada, ma molti di quelli che hanno votato per il presidente lo hanno fatto non perché pensano che le cose vadano bene, bensì perché sono convinti che solo Erdoğan possa risolvere la difficile situazione economica del paese. La divisione tra gli elettori non è ideologica né sociologica, ma puramente politica. I nazionalisti turchi e gli elettori curdi hanno giocato un ruolo importante per entrambi gli schieramenti. Inoltre sia tra i sostenitori di Erdoğan sia tra quelli di Kılıçdaroğlu c’erano persone di ogni classe sociale ed economica.

Erdoğan ha vinto, ma per lui governare sarà sempre più difficile. La questione più complicata e urgente, come ha ammesso lui stesso, sarà tirare fuori la Turchia dalla crisi economica.

Uno dei principali ostacoli al risanamento dell’economia è che per Erdoğan sarà difficile imporre le necessarie politiche di austerità prima delle elezioni amministrative che si terranno tra dieci mesi. Per mantenere l’equilibrio tra tasso di cambio, tasso di interesse e inflazione da un lato e l’assistenzialismo elettorale dall’altro basteranno gli aiuti provenienti dalla Russia e dai paesi del golfo Persico? Staremo a vedere. Non è un caso che nei discorsi tenuti dopo le elezioni Erdoğan ha specificato che il prossimo obiettivo sono le amministrative del marzo 2024. Il presidente sa che se l’Akp non riuscirà a strappare al Chp i comuni di Istanbul e Ankara il suo lavoro sarà più difficile. Perciò si è concentrato nel colpire il punto debole di Kılıçdaroğlu, cioè il fatto che gli altri partiti della coalizione di opposizione hanno ottenuto un numero sproporzionato di seggi a spese del Chp.

La sera delle elezioni Kılıçdaroğlu ha annunciato che non si dimetterà dalla guida del partito, ma dovrà affrontare le reazioni interne al Chp e non potrà rimandare a lungo il congresso. Inoltre è obbligato a non perdere le importanti amministrazioni in mano al suo partito, Ankara e Istanbul in primis. Per farlo i voti del Chp non saranno sufficienti, quindi sarà costretto a proseguire la politica delle alleanze. Ma come, e con chi? La strada di Kılıçdaroğlu si preannuncia in salita. Dopo le elezioni la sua principale alleata, la leader del Buon partito, Meral Akşe­ner, ha fatto la prima mossa, attribuendogli la responsabilità della sconfitta: “Kılıçdaroğlu l’ha chiesto, noi lo abbiamo sostenuto”.

Erdoğan ha lasciato intendere che adotterà una linea più dura in tutti gli aspetti della politica interna, dalla lotta al terrorismo all’ulteriore stretta sulla società civile. Il presidente interpreta la vittoria come un esplicito sostegno alle sue scelte politiche, ed è convinto di averla ottenuta soprattutto grazie al lavoro di tre ministri: Süleyman Soylu (esteri), Hulusi Akar (difesa) e Bekir Bozdağ (giustizia). Il loro ruolo nel far prevalere la questione della sicurezza rispetto a quella economica è stato fondamentale. Soylu e Akar potrebbero mantenere il loro posto nel nuovo governo.

La miopia dell’occidente

Il fatto che nel suo discorso Erdoğan abbia dato particolare risalto ai messaggi dei lea­der mondiali suggerisce che in politica estera continuerà sulla stessa linea. Tra le congratulazioni arrivate la notte delle elezioni spiccano quelle del presidente russo Vladimir Putin e quelle di Donald Trump, la cui stella sta ricominciando a brillare negli Stati Uniti, oltre a quelle del presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi.

La vittoria di Erdoğan conferma che le tendenze nazionaliste e autoritarie sono in aumento su scala globale, e diversi leader l’hanno trovata in linea con i propri interessi.

Nel prossimo futuro possiamo aspettarci relazioni più strette con la Russia e i paesi del Golfo. Erdoğan pensa che sia una via d’uscita dai problemi del paese, ma sarebbe contrario agli obiettivi della Turchia a lungo termine.

In tutta la loro miopia politica, gli Stati Uniti sono soprattutto interessati al fatto che la Turchia approvi l’ingresso della Svezia nella Nato in chiave antirussa. Se Kılıçdaroğlu avesse vinto, difficilmente avrebbe dato il via libera al vertice dell’alleanza in programma a giugno senza che la Svezia accontenti le richieste turche sulla questione dei militanti curdi. Erdoğan invece potrebbe pensare di bilanciare il suo via libera alla Svezia con un attacco alle basi dei miliziani curdi, spianando la strada a un accordo con gli Stati Uniti per l’acquisto degli aerei da combattimento F16.

Altrettanto miope è l’atteggiamento dell’Unione europea, preoccupata soprattutto che la Turchia non lasci partire i rifugiati siriani e gli altri migranti verso i suoi confini. La promessa di Kılıçdaroğlu di rimpatriare i siriani aveva infastidito i paesi europei, a cominciare dalla Germania. Ora che Erdoğan ha vinto l’Europa ha preso due piccioni con una fava, dato che potrà continuare a emarginare la Turchia con il pretesto dell’islamismo dell’Akp.

Purtroppo le preoccupazioni dell’occidente per la sorte dei detenuti per reati d’opinione come Selahattin Demirtaş e Osman Kavala sembrano essersi infrante contro la questione dei migranti e degli equilibri con la Russia. C’era da aspettarselo, ma la vittoria di Erdoğan lo ha definitivamente confermato.

Il bisogno della separazione dei poteri, di una giustizia indipendente e della libertà di espressione diventerà sempre più urgente, non solo in vista delle elezioni amministrative, ma anche perché il governo continuerà a imporre la linea dura in economia e in politica interna.

Se il 28 maggio ha creato scossoni nel fronte d’opposizione, anche dalla parte del potere saranno necessari aggiustamenti a causa del peggioramento della situazione. Ma la nuova pagina che si apre nella politica turca non è bianca. Erdoğan ha vinto sfruttando tutti i mezzi a sua disposizione ed è rimasto al potere, ma a causa della crisi economica, della polarizzazione politica e del bisogno di cambiamento nella società il suo lavoro sarà più difficile. Nelle prossime settimane ci sarà molto da discutere a proposito di cosa e come cambierà e delle lezioni da trarre dal 28 maggio. ◆ ga

Murat Yetkin è un giornalista turco. Nel 2018 ha lasciato la direzione del quotidiano Hürriyet dopo la vendita del giornale a un gruppo editoriale vicino al governo e ha fondato il sito d’informazione Yetkin Report.

Da sapere
Affluenza in calo

◆ L’appello alla mobilitazione lanciato dal candidato di opposizione Kemal Kılıçdaroğlu negli ultimi giorni prima del voto non sembra aver avuto effetto, nota Sertuğ Çiçek sul sito d’informazione turco T24: al secondo turno l’affluenza è scesa sotto l’84 per cento (al primo era stata dell’87 per cento). Il calo è stato più netto nelle regioni del sudest a maggioranza curda, che avevano votato prevalentemente per Kılıçdaroğlu al primo turno. Sembra inoltre che molti dei tre milioni di elettori che avevano votato per i candidati esclusi dal ballottaggio siano rimasti a casa, nonostante il terzo classificato Sinan Oğan avesse invitato a votare per Erdoğan.


Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1514 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati