Una madre che salta i pasti per lasciare da mangiare ai suoi due figli. Un uomo di sessant’anni che fa un solo pasto al giorno, con una focaccina di farina e acqua. Persone che corrono il rischio di essere colpite dall’artiglieria quando escono di casa alla disperata ricerca di provviste. Decine di testimonianze raccolte dalla Reuters mostrano quanto sia diffusa la fame nelle parti del Sudan colpite dalla guerra. Il numero di abitanti che affrontano livelli emergenziali di fame – lo stadio precedente alla carestia – è più che triplicato in un anno, sfiorando i cinque milioni, in base all’Integrated food security phase classification, l’indice di sicurezza alimentare usato al livello internazionale. A Khartoum, la capitale del Sudan, centinaia di migliaia di persone lottano quotidianamente per trovare da mangiare, visto che anche le mense comunitarie a cui si rivolgevano devono fare i conti con una riduzione delle forniture e con settimane di blackout delle telecomunicazioni.

In alcune parti della regione occidentale del Darfur non arrivano aiuti dall’aprile 2023, quando è cominciato il conflitto tra l’esercito sudanese e i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf). Le organizzazioni umanitarie avvertono che la fame è destinata a peggiorare con l’avvicinarsi della stagione secca, tra aprile e luglio, mesi di provviste scarse perché è il momento della semina dei campi.

“Il Sudan corre il rischio di una carestia biblica”, ha detto Jan Egeland, capo del Norwegian refugee council, dopo aver visitato a metà febbraio i campi profughi in Ciad dove vivono più di cinquecentomila sudanesi.

Il quartiere di Al Fiteihab, nella città di Omdurman, vicino a Khartoum, è sulla prima linea dei combattimenti tra l’esercito e le Rsf. Gli abitanti raccontano che per andare in cerca di viveri devono evitare i posti di blocco dei paramilitari, il fuoco dell’artiglieria e i cecchini. È tanta anche la paura di aggressioni quando si esce di casa. Mahmoud Mohammed, 60 anni, dice di essere stato derubato e frustato dalle Rsf mentre cercava di raggiungere il mercato. “Quando sono tornato a casa, avevo tutta la tunica insanguinata”, ha detto. Neanche sua moglie esce più per andare a prendere da mangiare dopo aver saputo che un gruppo di donne era stato catturato dalle Rsf e che altre erano scomparse. Altre due persone hanno confermato le notizie di sparizioni di donne all’inizio dell’anno.

Le infrastrutture elettriche e idriche sono state danneggiate dai combattimenti, lasciando i residenti senza elettricità e acqua corrente. Molti hanno sofferto di diarrea perché erano stati costretti a bere l’acqua del fiume Nilo. L’Organizzazione mondiale della sanità ha segnalato più di diecimila possibili casi di colera in tutto il paese. Finora la guerra in Sudan ha ucciso più di 14mila persone, secondo le stime delle Nazioni Unite, e ne ha spinte più di otto milioni (una cifra record) ad abbandonare la loro casa.

Reti di aiuto

All’inizio del conflitto alcuni gruppi di volontari di Al Fiteihab hanno allestito delle mense aperte a tutti, che riuscivano a servire brodo, riso e pane una o due volte al giorno. Ma nel luglio 2023 hanno dovuto ridurre i servizi quando l’assedio della Rsf ha limitato i rifornimenti, spiega Mohieldin Jaafar, uno dei volontari che operano in una rete di centri di gestione delle emergenze, impegnati a sfamare le persone e ad aiutarle a trasferirsi in regioni più sicure.

In tutta la capitale il blackout delle comunicazioni ha bloccato temporaneamente le attività delle mense comunitarie, perché non hanno più potuto ricevere le donazioni inviate attraverso le app di mobile banking. Il 3 marzo i centri per le emergenze dello stato di Khartoum hanno dovuto chiudere 221 mense comunitarie. Più di recente hanno ricevuto del denaro dopo che i volontari sono riusciti ad accedere a internet attraverso i satelliti della Starlink.

Gli aiuti internazionali che arrivano in Sudan, in ogni caso, scarseggiano perché le organizzazioni umanitarie faticano a ottenere dalle autorità i permessi necessari. Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno criticato sia l’esercito sia le Rsf perché ostacolano la distribuzione di aiuti. Il ministero degli esteri sudanese, allineato con l’esercito, ha accusato i militari di saccheggiare e bloccare gli aiuti, come denunciato anche da alcune organizzazioni. Le Rsf respingono le accuse e promettono di punire gli eventuali responsabili.

Senza latte

Secondo un rapporto uscito a febbraio dell’ong Medici senza frontiere nel campo di Zamzam, nel Darfur settentrionale, dove si trovano quattrocentomila sfollati, si stima che muoia un bambino ogni due ore. Quasi il 40 per cento dei bambini di età compresa tra i sei mesi e i due anni soffriva di malnutrizione. Se in Darfur gli aiuti non dovessero arrivare presto, sarebbe “una condanna a morte per milioni di persone”, ha dichiarato Egeland.

Nel campo di Kalma, nel Darfur meridionale, gli adulti lottano per sopravvivere con una pappa di farina di sorgo e acqua, mentre i bambini malnutriti si ammalano di infezioni e malaria. Mohammed Omar ha raccontato di essersi dovuto trasferire insieme alla sua famiglia per ben quattro volte dall’inizio della guerra. Consuma un solo pasto al giorno: un panetto di farina di sorgo e acqua, che di solito accompagna lo stufato di carne. “Non c’è giorno in cui non andiamo al cimitero a seppellire qualcuno”, osserva.

Fatma Ibrahim, 27 anni, era incinta quando è scoppiato il conflitto. Racconta che dopo il parto, a dicembre, non poteva allattare perché non mangiava abbastanza e non poteva permettersi il latte artificiale. Le due gemelle, Jana e Janat, erano malnutrite e sono state ricoverate in un centro medico. “Non abbiamo soldi né viveri né latte”, dice Ibrahim. “Non abbiamo nulla”. ◆ adg

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Questo articolo è uscito sul numero 1554 di Internazionale, a pagina 22. Compra questo numero | Abbonati