Carcere di Evin, Teheran, giugno 2023

Lo scopo delle mie parole è dare un volto agli esseri umani che, ovunque nel mondo, subiscono una prigionia, tra le mura di un carcere o di un paese oppressivo, e che nonostante tutto aspirano a far cadere questi e altri muri: quelli dell’ignoranza, dello sfruttamento, della povertà, della privazione e dell’isolamento.

Sentite in Iran il rumore sordo del muro della paura che s’incrina? Presto lo sentiremo crollare grazie alla volontà implacabile, alla forza e alla determinazione incrollabile degli iraniani.

In quanto donna, e come milioni di altre donne iraniane, mi sono sempre dovuta confrontare con la prigionia imposta dalla cultura patriarcale, dal potere religioso e autoritario, dalle leggi discriminatorie e repressive e da ogni tipo di restrizione in qualsiasi ambito della mia vita.

La nostra infanzia non è sfuggita a questa prigionia culturale. “Loro” non ci hanno permesso di vivere la nostra giovinezza e, in una parola, la nostra vita. La triste verità, in fondo, è che il governo autoritario, misogino e religioso della Repubblica islamica ci ha rubato la vita. Da una parte e dall’altra delle mura del carcere di Evin, dove siamo state imprigionate, non siamo rimaste immobili. In quanto donne, a volte sole e senza sostegno, spesso travolte da accuse e umiliazioni, abbiamo spezzato a una a una le nostre catene fino a quando è nato il movimento rivoluzionario Donna, vita, libertà. Allora abbiamo mostrato la nostra forza al mondo.

Colpevole di vivere

Al liceo ho studiato matematica e fisica, poi ho proseguito all’università gli studi di fisica applicata. Sono diventata ingegnera. Tuttavia, a causa del mio impegno per i diritti umani, la mia formazione e la mia carriera si sono scontrate con “il muro dell’ostruzione”. Ho fatto la giornalista ma, per ordine della guida suprema della Repubblica islamica e dopo la chiusura dei mezzi d’informazione indipendenti, i nostri giornali e le nostre riviste sono finite sotto il “muro della censura” e la nostra libertà d’espressione è stata imbavagliata.

Sono diventata portavoce del Centro per la difesa dei diritti umani, per partecipare alla formazione in Iran di un grande movimento associativo e tentare di dare corpo a una società civile organizzata, reale e forte.

Ahimè, queste organizzazioni si sono scontrate con la barriera innalzata dalle autorità, dopo attacchi ripetuti delle forze di sicurezza, sostenute dai servizi segreti e dai guardiani della rivoluzione. Ho protestato e lottato contro le politiche distruttive e repressive, al fianco di migliaia di manifestanti e oppositori che sono stati anch’essi accerchiati dalle mura della prigione, dell’isolamento e della tortura.

Infine, sono diventata “madre”, ma da molto tempo tra me e i miei figli si è levato “il muro dell’emigrazione e dell’esilio forzato”, come per centinaia di migliaia di altre madri che soffrono l’allontanamento dai propri figli. Mi mancano le parole per descrivere questa maternità rimasta dietro “il muro della crudeltà e della violenza”.

Nonostante questa prigione in cui ci troviamo non abbiamo mai smesso di batterci. Siamo diventate madri e padri universali, abbiamo conservato i nostri valori, il nostro entusiasmo, il nostro amore, la nostra forza e la nostra vitalità, abbiamo ricreato la vita vera.

Anche se ostacolate da tutte queste serrature, siamo state capaci di far emergere il potere di chi si oppone e la forza della contestazione. Il nostro impeto ci ha portato più in alto dei muri che ci opprimono e ora siamo più forti e solide di loro. Se le nostre sbarre sono l’immobilità, il silenzio e la morte, noi siamo movimento, eco e vitalità, ed è qui che si disegna la promessa della nostra vittoria.

Il governo della Repubblica islamica nega i diritti fondamentali alla vita, alla libertà d’opinione, d’espressione e di religione; il diritto a praticare la danza e la musica, e perfino il diritto all’amore. Se guardate con attenzione la società iraniana vedrete che ciascun individuo, in ogni momento della sua vita e in ogni luogo, è colpevole del desiderio di vivere. Rischia per questo reato le sanzioni peggiori, di essere punito, umiliato, arrestato, tenuto in carcere e perfino di essere condannato a morte.

Ognuno di noi è diventato un oppositore al regime. Il mondo è testimone delle proteste in Iran e della creatività del movimento, che ogni giorno inventa nuove forme di mobilitazione. Questo movimento conduce a una transizione che passo dopo passo allontana la Repubblica islamica e ci porta verso la democrazia, l’uguaglianza e la libertà. Il ruolo dei mezzi d’informazione indipendenti, della società civile, delle organizzazioni per i diritti umani, in tutto il mondo, è cruciale in questa lotta.

Care lettrici, cari lettori, la pubblicazione di questa lettera dimostra che la nostra voce è stata abbastanza potente da raggiungervi. Siate anche voi la nostra voce, trasmettete il nostro messaggio di speranza, dite al mondo che noi non siamo dietro queste mura per nulla e che ora siamo più forti dei nostri aguzzini che usano tutti i mezzi possibili per mettere a tacere la nostra società. Questa voce risuonerà nel mondo. Questo orizzonte ci motiva e ci rallegra. Trionferemo insieme. Sperando di veder arrivare molto presto quel giorno. ◆ fdl

Da sapere
La protesta delle donne

◆ Il 7 ottobre 2023 l’accademia di Oslo ha assegnato il premio Nobel per la pace all’attivista iraniana per i diritti delle donne Narges Mohammadi, 51 anni, rinchiusa nel carcere iraniano di Evin. A giugno di quest’anno Mohammadi, che si batte per l’abolizione della pena di morte in Iran, ha scritto e fatto uscire clandestinamente la lettera che pubblichiamo. Il comitato per il Nobel ha affermato che “la coraggiosa lotta di Narges Mohammadi ha comportato enormi costi personali. Il regime iraniano l’ha arrestata tredici volte, condannata a un totale di 31 anni di carcere e 154 frustate”. Altre quattro attiviste per i diritti umani, tutte detenute nel carcere di Evin, tranne una che c’è stata in passato, hanno fatto uscire dei testi clandestinamente. Nel carcere a nord di Teheran sono rinchiuse molti oppositrici e oppositori che fanno parte del movimento di protesta nato dopo la morte nel 2022 di Mahsa Jina Amini, la ragazza arrestata e presa in custodia dalla polizia perché non indossava correttamente il velo. Le Monde, Ansa


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Questo articolo è uscito sul numero 1533 di Internazionale, a pagina 31. Compra questo numero | Abbonati