Il tiranno muore e il suo regno termina, il martire invece muore e il suo regno comincia”. Osservando le migliaia di persone ai funerali di Aleksej Navalnyj a Mosca, il 1 marzo, vengono in mente le parole del filosofo danese Søren Kierkegaard. Sul social media X (ex Twitter) qualcuno ha ironizzato: “Anche stavolta non è venuto nessuno”. In effetti “non sono venute” persone di tutte le età e classi sociali, da tante città russe. Evgenij Rojzman, per esempio, è arrivato da Ekaterinburg. E a Perm sette passeggeri sono stati fatti scendere dal treno e arrestati. Chissà quanti altri sono stati fermati. La gente è venuta, nonostante la feroce campagna intimidatoria, i ricatti e la disinformazione. Ha raggiunto il quartiere di Maryno, dove Navalnyj aveva vissuto per anni e dov’è stato sepolto, e si è messa in fila davanti alla chiesa e sulla strada per il cimitero. Tra la folla c’erano ambasciatori di paesi “ostili” (non alla Russia, ma al presidente Putin) e giornalisti da tutto il mondo, che cercavano di trasmettere immagini e video nonostante i tentativi dei servizi segreti russi d’impedire le comunicazioni in tutta la zona. Gli studenti della scuola vicina sono stati chiusi nelle aule e gli è stato vietato di unirsi al corteo.

Tra le persone che hanno parlato, l’avvocato Ilja Novikov ha detto che Navalnyj è morto in guerra ed è solo una delle centinaia di migliaia di vittime dell’assassino Putin. Poi ha ricordato che il suo ritorno in Russia era stato un disperato tentativo di ostacolare il corso degli eventi che ha portato all’invasione dell’Ucraina. “Quando l’assassino di Navalnyj finalmente morirà, vedremo quanti russi andranno a salutarlo. E confronteremo i numeri”, ha aggiunto l’autore satirico Viktor Šenderovič.

Prima e dopo il servizio funebre le persone non sono rimaste in silenzio, ma hanno scandito slogan come “Non perdoneremo!”, “No alla guerra”, coprendo il rumore dei megafoni dei poliziotti.

Questa mobilitazione segna l’inizio di una nuova fase della resistenza, che i pessimisti consideravano già morta e sepolta. Lo si era già intuito con le code di cittadini che erano andati a firmare per la candidatura alle presidenziali del 17 marzo di Boris Nadeždin, critico verso il regime e contrario alla guerra. Anche lui era presente al funerale di Navalnyj.

In questi giorni sono nati 450 memoriali spontanei per Navalnyj in più di duecento città russe. E poi c’è l’azione politica escogitata dall’avvocato Maksim Reznik e sostenuta da Navalnyj prima della morte: andare ai seggi il giorno del voto, anche senza entrare, ma per testimoniare la propria presenza e dimostrare che il regime di Putin ha delle profonde crepe. E in caso scrivere sulla scheda “Aleksej Navalnyj”. Oggi, anche da morto, il politico più importante del paese è lui, non “il mafioso sanguinario” del Cremlino, come Julija Navalnaja ha definito Putin.

Una nuova era

Julija Navalnaja, che vive in esilio, non ha potuto seppellire il marito. Ma ha trovato il coraggio di prendere il suo posto e il mondo sembra averla già riconosciuta come la voce dell’altra Russia, quella vera, non il simulacro burocratico-nucleare rappresentato, per usare le sue parole, da una “banda di criminali organizzati”. Con la morte del dissidente comincia una nuova era. Nessuno sa come andrà a finire. Ma questi funerali hanno confermato che oggi ci sono due Russie.

La prima è quella che parla attraverso il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov e che considera la morte di Navalnyj in carcere un evento ordinario.

L’altra Russia, invece, è quella che viene picchiata, incarcerata, umiliata, imbavagliata. Eppure, come si è visto, resiste ancora. Per ora nessuno sa di quanti milioni di persone si tratti.

Quando la bara è stata calata nella fossa è risuonata la colonna sonora del film preferito di Navalnyj, Terminator 2: il tema che accompagna la morte di un robot umanizzato che si sacrifica per salvare il mondo. In seguito si sono sentite le note di My way di Frank Sinatra. ◆ ab

Republic è un sito d’informazione indipendente russo, bollato dalle autorità come “agente straniero”. Molti dei suoi giornalisti e il suo direttore sono in esilio.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1553 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati