Dolly Ramos ha sempre sognato di “vivere l’esperienza del college” e di diventare un’infermiera. Il problema per lei non era tanto la difficoltà a entrare nella scuola che preferiva, ma il fatto di non avere i mezzi per frequentare un’università.

La sentenza della corte suprema che ha cancellato l’affirmative action (il principio in base al quale gli atenei possono tenere conto dell’appartenenza etnica quando valutano le domande di ammissione) avrà conseguenze notevoli per alcune università, riducendo la percentuale di studenti neri e ispanici tra le matricole e quindi anche tra i futuri leader della politica e dell’economia.

Tysheem Sanders a New York (Mary Inhea Kang, The New York Times)

Ma la verità è che le pratiche pensate per aiutare le minoranze hanno sempre riguardato un numero relativamente ridotto di persone. Per la grande maggioranza dei ragazzi e delle ragazze, quegli atenei sono comunque inaccessibili, sia per gli standard accademici sia per i costi.

Molti diplomati entrano direttamente nel mondo del lavoro o si iscrivono a università meno prestigiose, dove non c’è l’affirmative action. Almeno un terzo delle matricole universitarie, e metà di quelle ispaniche, frequenta i community college, cioè istituti solitamente aperti a tutti. “A un certo punto sono passata da ‘voglio studiare’ a ‘voglio solo sopravvivere’”, racconta Ramos, che ha 25 anni e ha da poco finito il corso di laurea in infermieristica. Per riuscirci ha dovuto mettere insieme i crediti ottenuti da diversi college dello stato di New York, e in alcuni momenti ha dovuto vivere in un centro d’accoglienza per giovani in difficoltà o dormire sul pavimento nell’ufficio di un professore.

Jessica Garcia a Garland, in Texas (Emil Lippe, The New York Times/Contrasto)

Alla Memorial pathway academy, istituto superiore per studenti a rischio e nuovi immigrati a Garland, in Texas, più dell’80 per cento degli iscritti entra nel mercato del lavoro dopo il diploma. A livello nazionale il 40 per cento dei diplomati non s’iscrive subito all’università. “Questi sono i ragazzi di cui nessuno si accorge”, dice Josh Tovar, il preside della Memorial. “Tutti notano lo studente diplomato con il massimo dei voti che frequenterà il Massachusetts institute of technology, ma nessuno si accorge di quello che non ha i genitori, vive con la nonna, è arrivato qui a 17 anni ma riesce comunque a finire la scuola”.

Prima della sentenza della corte suprema le università con l’affirmative action erano meno di duecento. Sean Reardon, dell’università di Stanford, ricorda che da questi atenei escono ogni anno tra i diecimila e i quindicimila laureati che senza la discriminazione positiva non sarebbero mai stati ammessi. Questa cifra rappresenta circa il 2 per cento di tutti gli studenti neri, ispanici o nativi americani iscritti a corsi di laurea quadriennali.

Secondo alcuni esperti, la decisione della corte potrebbe innescare un effetto domino, portando molti neri e ispanici a pensare di non essere graditi nei campus e a iscriversi in posti meno affidabili, come gli istituti a scopo di lucro. Tuttavia, la maggior parte degli studenti ha problemi più concreti: pagare la retta, arrivare alla fine del corso. “Ero spaventato”, racconta Tysheem Sanders, 24 anni, il primo nella sua famiglia a frequentare l’università. Sanders ricorda l’angoscia che ha provato quando un consulente gli ha spiegato che avrebbe dovuto scegliere tra un prestito agevolato, un prestito normale o un misto tra i due. Oggi Sanders frequenta il Borough of Manhattan community college e spera di diventare un tutor nelle scuole superiori.

Costi che crescono

Negli Stati Uniti le iscrizioni all’università sono in calo da più di un decennio, anche a causa dell’aumento dei costi. Molti stati hanno tagliato i fondi per gli istituti pubblici dopo la crisi economica, e tanti atenei hanno alzato la retta. L’aumento dei costi è stato più rapido per gli studenti che vengono da famiglie a basso reddito.

I sostegni economici offerti non hanno tenuto il ritmo. In passato il Pell grant, una borsa di studio del governo federale per studenti in difficoltà, copriva la maggior parte delle spese universitarie, mentre oggi solo un quarto. Un ulteriore calo delle iscrizioni potrebbe essere causato da un’altra sentenza della corte suprema, che ha bocciato il piano dell’amministrazione Biden per cancellare il debito studentesco di milioni di studenti. Dominic Cherry, 22 anni, dice di essere stato ammesso all’università del Nevada a Las Vegas, ma ha rinunciato a iscriversi perché non poteva permettersi la retta. Ha accettato un posto di lavoro come impiegato per un’impresa edile e si è iscritto a un community college, i cui costi sono coperti dagli aiuti federali.

Jessica Garcia ha 19 anni e vive a Garland, in Texas. Vorrebbe frequentare l’università ed entrare nella polizia investigativa, ma ha dovuto faticare molto anche solo per prendere il diploma. Spesso la mattina non riusciva ad arrivare in tempo a scuola perché i genitori non avevano un’automobile.

Per Garcia, la prima della sua famiglia a finire le superiori, partecipare alla cerimonia dei diplomi, a maggio dell’anno scorso, è stato un trionfo. Oggi lavora in un fast food Subway e mette da parte i soldi che le serviranno per comprare un appartamento. “Ma mi piacerebbe molto vivere l’esperienza del college. È ancora quello il mio obiettivo”. ◆ as

Da sapere
Parola ai giudici

◆ In pochi giorni la corte suprema, il massimo organo della giustizia statunitense, ha preso una serie di decisioni importanti. Oltre a cancellare l’affirmative action, cioè la possibilità per gli atenei di tenere conto dell’appartenenza a un gruppo etnico nella valutazione delle domande di ammissione, ha bloccato il piano presentato nel 2022 dal presidente Joe Biden per cancellare i debiti contratti da decine di milioni di statunitensi durante l’università, per un totale di circa 430 miliardi di dollari. Biden ha detto che userà una legge del 1965 per salvare il programma di riduzione del debito. Inoltre i giudici hanno dato ragione a una web designer che si era rifiutata di fornire i propri servizi per annunci di matrimonio di coppie gay. La donna sosteneva che l’obbligo di lavorare per una coppia omosessuale violava la libertà religiosa garantita dal primo emendamento della costituzione. Il verdetto dei giudici rischia di creare un precedente in base al quale lavoratori in vari campi potranno rifiutarsi di assistere persone lgbt. Infine la corte ha bocciato una teoria costituzionale che vorrebbe impedire alle autorità federali di interferire sulle decisioni che i singoli stati prendono in materia di elezioni. Reuters


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Questo articolo è uscito sul numero 1519 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati