In vista delle elezioni legislative dell’8 febbraio, la commissione per i diritti umani ha espresso forti preoccupazioni per le “manovre preelettorali” e per l’“esplicita manipolazione” del processo di voto. Sembra difficile che questo possa svolgersi in modo libero e regolare.

In Pakistan l’esercito ha spesso giocato un ruolo cruciale nel determinare l’esito delle elezioni. Le costanti interferenze dei militari nella politica del paese spiegano i timori sulla correttezza del processo democratico, ma non solo questo. La potente classe dirigente militare ha esercitato un’enorme influenza per quasi metà dei 76 anni di storia del Pakistan. I militari hanno assunto il controllo diretto del potere tramite colpi di stato guidati dai generali Ayub Khan (1958-1969), Yahya Khan (1969-1971), Zia-ul-Haq (1978-1988) e Pervez Musharraf (1999-2008). Ma anche quando non governa in modo diretto, l’esercito ha un peso rilevante sul panorama politico, determinando l’ascesa di alcuni partiti.

Uno schema che si ripete

Nel novembre 2022 l’ex capo di stato maggiore, il generale Qamar Javed Bajwa, ha riconosciuto apertamente il ruolo cruciale avuto dai militari nell’arrivo al governo di Imran Khan dopo l’estromissione dell’ex premier Nawaz Sharif (Khan ora si trova in carcere). L’influenza dell’esercito si avverte in ogni aspetto della vita e delle questioni che riguardano la sicurezza in Pakistan. Le forza armate sostengono spesso personaggi facilmente manovrabili che si guardano bene dallo sfidare gli interessi dei militari. Questo schema è emerso con chiarezza nel 2013, quando Sharif vinse le elezioni. Il suo tentativo di muoversi, in politica estera e nelle questioni di sicurezza, in modo indipendente dalla linea dell’esercito gli è costato, pochi anni dopo, la fine prematura del mandato. I militari si opposero ai tentativi di Sharif di migliorare i rapporti con l’India, perché la tensione latente con New Delhi gli consente di mantenere il controllo sul paese. Nel 2014 Sharif fece un’apertura significativa nei confronti dell’India, accettando l’invito a presenziare alla cerimonia di giuramento del primo ministro Narendra Modi, che restituì poi il favore nel 2015 con una breve sosta a Lahore, alimentando le speranze di un miglioramento nelle relazioni tra i due stati.

Questo disgelo però ebbe vita breve. Nel 2017 Sharif, dopo aver governato per tre mandati, fu estromesso dal suo incarico con l’accusa di corruzione.

Alle elezioni del 2018 l’esercito ha quindi appoggiato Imran Khan e il suo partito, il Pakistan tehreek-e-insaf (Pti). Questo sostegno si è dimostrato cruciale per la vittoria di Khan: insieme all’Inter-services intelligence agency (Isi, i servizi di sicurezza pachistani) ha plasmato con estrema cura l’immagine pubblica di Khan, dipingendolo come un individuo onesto e senza macchia, al contrario degli avversari, descritti come politici corrotti. Questo sforzo ha infuso nei pachistani la speranza di un cambiamento.

Poco dopo l’arrivo al governo, tuttavia, Khan ha cominciato a scontrarsi con le forze armate, in parte a causa di una divergenza di opinioni sulla scelta del capo dell’Isi. Le tensioni sono via via aumentate fino all’estromissione di Khan con un voto di sfiducia del parlamento, nell’aprile 2022. Dopo la sua cacciata, Khan ha criticato apertamente l’esercito, che ha reagito con una serie di provvedimenti per impedirgli di candidarsi alle prossime elezioni. Khan è stato arrestato lo scorso agosto con diverse accuse di corruzione, che lui nega con fermezza (il 30 gennaio è stato condannato anche a dieci anni di detenzione per aver divulgato documenti riservati, e il 31 gennaio la sentenza per corruzione per cui si trova in carcere da agosto è stata rivista, portando la pena da tre a quattordici anni, con in più l’interdizione dai pubblici uffici fino al 2034). A causa di un’ondata di misure repressive, molti dirigenti del suo partito sono stati costretti ad abbandonarlo. Oltre a non potersi candidare, Khan e gli esponenti del Pti hanno il divieto di tenere comizi o eventi di raccolta fondi online. Con un voltafaccia notevole, l’esercito ha messo invece Sharif nelle condizioni di partecipare alle elezioni dell’8 febbraio, annullando tutti i processi contro di lui e presentandolo come candidato favorito contro Khan. Gli obiettivi più evidenti sono ostacolare Khan e il Pti e assicurarsi che Sharif non metta mai più in discussione gli interessi dei militari.

Bisogno di stabilità

Islamabad si trova in gravi difficoltà, dal punto di vista della sicurezza e da quello economico. Di recente l’Iran ha lanciato attacchi con missili e droni vicino al confine con il Pakistan per colpire un gruppo terroristico che, secondo Teheran, avrebbe compiuto attentati in Iran. Il Pakistan ha condannato l’operazione e si è subito vendicato, rispondendo agli attacchi e aggravando ulteriormente le tensioni tra i due paesi. Il Pakistan subisce anche attentati da gruppi che hanno le loro basi in Afghanistan, i quali hanno ucciso quasi mille persone nel 2023. Per fare pressione sul governo di Kabul, a novembre Islamabad ha espulso in massa migliaia di profughi afgani senza documenti.

Come se non bastasse, l’inflazione è salita al 30 per cento, aggravando le difficoltà che già pesano sull’economia nazionale, come i frequenti blackout e il calo delle esportazioni, delle rimesse e degli investimenti esteri diretti. Il Pakistan è il quinto paese più popoloso del mondo e una potenza nucleare. È fondamentale che raggiunga una stabilità politica, ma questo non potrà avvenire finché l’esercito non si limiterà al suo ruolo costituzionale e non si asterrà da interferenze politiche ingiustificate.

Il potere crescente dei militari sembra aver preso il sopravvento sui bisogni della popolazione. In vista delle elezioni dell’8 febbraio, tenere a freno le forze armate è fondamentale per promuovere un sistema politico che dia priorità alla stabilità e ai princìpi democratici in Asia meridionale, oltre che al benessere generale dei pachistani. ◆ gim

Saira Bano insegna scienze politiche alla Thompson Rivers university, in Canada.

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1548 di Internazionale, a pagina 30. Compra questo numero | Abbonati