Se parliamo della salute del pianeta, ci sono due motivi per cui la Repubblica Democratica del Congo (Rdc) è importante. Primo: nel suo sottosuolo si trovano i più grandi giacimenti di cobalto del mondo. Questo metallo è essenziale per fabbricare le batterie al litio che dovrebbero favorire la transizione verso le energie pulite. Con le tecnologie attualmente a disposizione, la rinuncia ai combustibili fossili in cambio dell’energia solare e dei veicoli elettrici dipende da una fornitura stabile di cobalto. Senza cobalto, niente rivoluzione verde.

Secondo: nel paese si trova la seconda foresta pluviale più grande del mondo. I suoi alberi assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno. Tutelare le foreste pluviali è una delle azioni più efficaci per tenere sotto controllo il riscaldamento globale. Se altri continenti avessero fatto di più, forse non ci troveremmo in questa situazione. In altre parole, quello che succede in Rdc è importante non solo per i congolesi, ma per tutti gli abitanti del pianeta.

Tshisekedi e i suoi rivali

In vista delle elezioni del 20 dicembre 2023, però, i congolesi hanno altre preoccupazioni. Nonostante – o a causa – delle sue straordinarie ricchezze naturali, la Rdc è uno dei cinque paesi più poveri del mondo. Secondo l’ong Amnesty international, la corruzione e lo sperpero delle risorse pubbliche “continuano e restano in gran parte impuniti”. Un conflitto violento con vari gruppi armati nell’est del paese non mostra segni di distensione.

Questa situazione gioca difficilmente a favore del presidente Félix Tshisekedi, che si candida a un secondo mandato. La sua elezione nel 2018 è stata contestata: secondo osservatori indipendenti Tshisekedi era arrivato secondo, dietro a un altro candidato dell’opposizione, Martin Fayulu. Ma i tribunali e la commissione elettorale hanno assegnato la vittoria a Tshisekedi, forse perché ritenevano che sarebbe stato più clemente con il presidente uscente Joseph Kabila, coinvolto in molteplici scandali di corruzione e non ancora finito sotto processo.

Se il voto si svolgerà effettivamente il 20 dicembre – oltre alle difficoltà logistiche, nell’est persiste l’instabilità – è possibile che Tshisekedi sia proclamato di nuovo vincitore, non fosse altro perché è il presidente in carica e questo ha dei vantaggi. Secondo l’Africa centre for strategic studies (un ente legato al dipartimento della difesa statunitense), la commissione elettorale è piena di persone leali a Tshisekedi. I leader dell’opposizione si lamentano che sia la commissione sia i tribunali sono sbilanciati a favore del presidente.

Tra i principali esponenti dell’opposizione ci sono Fayulu, che ha promesso che non si ripeterà il presunto errore elettorale del 2018; Moise Katumbi, un noto imprenditore, ex governatore dello stato del Katanga e in passato uno dei più stretti alleati di Tshisekedi; e Denis Mukwege, medico e attivista per i diritti delle donne, premio Nobel per la pace nel 2018.

Chiunque finirà per insediarsi – o restare – al Palais de la nation di Kinshasa avrà un compito arduo. La Rdc è uno dei paesi più difficili da governare al mondo, considerate le sue dimensioni (in Africa è il secondo più grande, dopo l’Algeria), la sua popolazione (96 milioni di persone) e il suo livello di povertà (il pil pro capite è 586,5 dollari, un quinto di quello della Nigeria).

Ma la nuova amministrazione avrà anche l’opportunità di ribaltare le prospettive nazionali e quelle dei suoi abitanti. Se sarà in grado di usare il cobalto e le foreste pluviali per garantire uno sviluppo reale e ridistribuire la ricchezza che ne deriverà, la Rdc potrebbe diventare un paese diverso per le generazioni future. Per riuscirci, il prossimo presidente dovrà fare meglio di chi l’ha preceduto. Dal re Leopoldo del Belgio al dittatore Mobutu Sese Seko a Joseph Kabila, le risorse naturali congolesi sono state troppo spesso usate per arricchire un’élite ristretta. E bisogna anche considerare che mentre cercherà di capire come agire meglio, il governo subirà molte ingerenze e le cose si complicheranno. Le vaste ricchezze minerarie disponibili e le nuove e incredibili opportunità di guadagno legate ai mercati dei crediti di emissione hanno attirato l’attenzione di altri governi e di grandi aziende, che non hanno mai a cuore la sorte del popolo congolese.

Alcune aziende di stato cinesi hanno firmato accordi miliardari per l’accesso alle miniere di cobalto, ma sono già state coinvolte in casi di corruzione e frode. I paesi vicini, primo tra tutti il Ruanda, sono accusati di alimentare il conflitto nell’est e di aver approfittato del caos per esportare i minerali congolesi spacciandoli per ruandesi. La Glencore, un’azienda mineraria con sede in Svizzera, sta aggressivamente cercando di concludere nuovi affari nella Rdc, anche dopo aver accettato di pagare al governo di Kinshasa 180 milioni di dollari per risolvere vari casi di corruzione avvenuti tra il 2007 e il 2018.

Nonostante i brogli denunciati dagli osservatori indipendenti, gli Stati Uniti e l’Europa hanno tacitamente accettato il risultato delle presidenziali del 2018 nell’interesse della stabilità. Ma la stabilità per chi? Non certo per i 6,9 milioni di sfollati interni presenti in Rdc.

A giudicare dai risultati del suo primo mandato, Tshisekedi non è la persona giusta per affrontare queste sfide. Alcuni suoi alleati e collaboratori sono stati coinvolti in gravi scandali di corruzione. Le violenze dei gruppi armati sono aumentate e l’esercito nazionale è stato spesso coinvolto in massacri di civili e in dubbie alleanze con quegli stessi gruppi. Le vecchie aziende di sempre continuano a fare gli stessi loschi affari di sempre. Intanto l’estrazione del cobalto va avanti. Le foreste pluviali continuano a scomparire, ma meno rapidamente di quanto si potrebbe pensare. Questo però non si traduce in benefici materiali per i congolesi. Ma un mondo cinicamente indifferente non pretende altro dalla Rdc, a prescindere da chi vincerà le elezioni. ◆ gim

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1542 di Internazionale, a pagina 29. Compra questo numero | Abbonati