Mentre i politici in molti paesi dell’occidente discutono per stabilire in che misura Israele starebbe ostacolando il passaggio di aiuti nella Striscia di Gaza, le esportazioni di armi che sostengono in gran parte la guerra di Israele contro il territorio palestinese continuano ad arrivare a destinazione. Dall’inizio della guerra le armi che entrano in Israele sono aumentate: enormi quantità sono usate per radere al suolo intere zone di Gaza, e per uccidere, mutilare e trasferire la popolazione. “Da un lato ci sono necessità umanitarie drammatiche, dall’altro la continua fornitura di armi a Israele, che crea quelle necessità”, dice Akshaya Kumar, direttrice delle campagne di sensibilizzazione di Human rights watch sulle crisi. Il diritto internazionale ha regole e convenzioni per controllare chi fornisce le armi a chi, e per cosa le usa. In base alla convenzione sul genocidio del 1948 gli stati sono legalmente tenuti a prevenire il genocidio, i crimini di guerra e i crimini contro l’umanità. Secondo il trattato sul commercio delle armi – vincolante a livello internazionale, ma non firmato dagli Stati Uniti – un paese non può esportare armi verso uno stato che si sospetta possa usarle per “genocidio, crimini contro l’umanità, attacchi diretti a obiettivi o a soggetti civili”.

Secondo il ministero della sanità di Gaza, più di 31mila persone sono morte finora a causa della guerra di Israele nella Striscia, per lo più donne e bambini, e circa 73mila sono state ferite.

Da mesi le strutture sanitarie non sono più in grado di gestire i pazienti feriti e quelli in fin di vita.

Il territorio palestinese è sull’orlo di una catastrofe umanitaria. Il 13 marzo il capo della diplomazia dell’Unione europea, Josep Borrell, ha detto al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che Israele sta usando la fame come arma di guerra e sta producendo un disastro impedendo l’ingresso degli aiuti. Israele ha anche sparato su alcune persone che aspettavano di ricevere i pochi aiuti autorizzati a entrare.

“Gli stati occidentali ultimamente si sono impegnati per far ammettere a Israele il suo ruolo nelle sofferenze a Gaza, ma il flusso di armi da Stati Uniti, Germania e altri paesi non si è ridotto”, afferma Kumar. I principali fornitori di Israele si sono concentrati sull’invio di aiuti ai palestinesi attaccati con molte delle armi che loro stessi hanno venduto a Tel Aviv. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha annunciato la creazione di un corridoio marittimo, con cui dichiara che sarà possibile aggirare Israele e consegnare gli aiuti a Gaza.

Buco nero

Alcuni paesi hanno sospeso le esportazioni di armi allo stato ebraico dopo l’inizio della guerra a Gaza, ma i fornitori più importanti rimangono attivi. Il contributo annuale di Washington al bilancio militare israeliano, che ammonta a 3,8 miliardi di dollari, non si è fermato. Altri 14 miliardi di dollari sono stati approvati dal congresso a febbraio in vista della “guerra multi-fronte” a cui Israele si starebbe preparando, che per molti significa l’apertura di un altro fronte contro il gruppo armato Hezbollah in Libano. Secondo l’Institute for peace di Stoccolma, dagli Stati Uniti arriva il 69 per cento delle importazioni israeliane di armi, ma alcune informazioni confidenziali trasmesse di recente al congresso, e rivelate dal Washington Post, indicano che potrebbe esserci altro.

Un cavillo legale nell’Arms export control act – che disciplina l’esportazione e l’uso finale delle armi inviate dagli Stati Uniti – fa sì che solo pacchetti di un certo valore debbano passare per il vaglio del congresso, quindi i “lotti aggregati” sotto quel valore passano regolarmente inosservati. Finora ci sono stati circa cento carichi di armi non documentati pubblicamente. “In questo modo sappiamo poco di quali armamenti sono inviati: è un buco nero”, afferma Ari Tolany, direttrice del Security assistance monitor al Center for international policy, a Washington. “Anche se il governo israeliano afferma di poter garantire a Biden che queste armi sono usate nel rispetto del diritto internazionale umanitario, le prove da Gaza dimostrano che non è così”.

Anche l’esportazione di armi dalla Germania a Israele è aumentato. Berlino ha inviato armi per 350 milioni di dollari (un valore dieci volte superiore alle esportazioni del 2022), in gran parte dopo l’attacco di Hamas. Un rapporto dell’Onu di febbraio cita anche Australia, Canada, Francia e Regno Unito tra i paesi che proseguono gli invii (il Canada ha deciso di fermarli il 19 marzo).

Alcuni ex fornitori, tuttavia, sembrano consapevoli dei rischi legali di autorizzare la vendita di armi a uno stato che secondo la corte internazionale di giustizia potrebbe essere responsabile di genocidio. Poco dopo l’inizio dell’attacco a Gaza a ottobre, Italia e Spagna hanno sospeso gli invii di armi a Israele, anche se Madrid continua a fornire munizioni a “scopo espositivo”. Anche il governo regionale della Vallonia, in Belgio, e la giapponese Itochu Corporation hanno annunciato la sospensione delle esportazioni di armamenti a Israele. A febbraio un giudice olandese ha confermato una sentenza che bloccava l’invio di componenti degli F-35 a Israele, dichiarando: “È innegabile che c’è un chiaro rischio che siano usati per gravi violazioni del diritto internazionale umanitario”. L’Onu ha già avvertito di questi pericoli nella sua relazione di esperti intitolata inequivocabilmente: “Le esportazioni di armi a Israele devono fermarsi immediatamente”. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti sono state prese iniziative legali per far cambiare la linea dei due paesi su questo frangente.

Sei versioni diverse

I rapporti di osservatori, organizzazioni umanitarie e analisti arrivano sempre più spesso alla conclusione che Israele potrebbe aver usato le armi fornite dall’occidente per uccidere e ferire più di centomila persone, provocando le sofferenze di innumerevoli altre. All’inizio di gennaio le sedi dell’International rescue committee e dell’ong Medical aid for Palestine, che si trovano in una delle “zone sicure” indicate dall’esercito israeliano a Gaza, sono state colpite da un jet israeliano. Le indagini successive hanno rivelato che nell’attacco era stata usata una “bomba intelligente” lanciata da un caccia F-16, entrambi fabbricati negli Stati Uniti, con componenti provenienti dal Regno Unito. A marzo le due organizzazioni hanno spiegato che i loro tentativi di fare luce sull’accaduto hanno ottenuto sei diverse versioni dall’esercito israeliano e nessun impegno di Washington e Londra a chiedere conto a Tel Aviv delle violazioni del trattato sul commercio delle armi, ratificato dal Regno Unito nel 2014.

Altri rapporti in passato hanno documentato l’uso improprio che Israele fa del linguaggio di protezione umanitaria per ammassare persone in aree sempre più piccole definite “sicure”, per poi attaccarle. La guerra a Gaza non dà segno di tregua. Oggi Israele parla della creazione di “isole umanitarie” nel centro della Striscia, in vista dell’attacco di terra su Rafah che minaccia da settimane. Nel frattempo milioni di persone, accampate nella città e in tutta la Striscia, aspettano. ◆ fdl

Da sapere
La carestia incombe

◆ Un rapporto pubblicato il 18 marzo 2024 dall’iniziativa globale Integrated food security phase classification (Ipc), che monitora le crisi alimentari ed è sostenuta da varie agenzie delle Nazioni Unite, denuncia che un abitante su due della Striscia di Gaza (circa 1,1 milioni di persone) affronta una situazione catastrofica, soprattutto nella parte settentrionale del territorio, che entro maggio potrebbe essere colpita da una carestia. Le cose potrebbero peggiorare ancora con un’operazione di terra dell’esercito israeliano a Rafah, la città del sud in cui sono rifugiate centinaia di migliaia di persone. Il governo di Tel Aviv ha ribadito che i preparativi vanno avanti.

◆ Il 18 marzo l’esercito israeliano ha lanciato un’operazione nell’ospedale Al Shifa, nella città di Gaza, il più grande del territorio palestinese. La struttura, in cui sono rifugiati migliaia di civili, era già stata presa di mira a novembre. Israele ha detto di aver ucciso decine di combattenti e di averne arrestati più di duecento nel corso dell’operazione.

◆ A Doha, in Qatar, i mediatori cercano di arrivare a un cessate il fuoco. Il 19 marzo David Barnea, capo del Mossad (i servizi segreti israeliani), ha lasciato il paese, ma i colloqui vanno avanti.

◆ Il 15 marzo la nave noleggiata dall’organizzazione World central kitchen, del cuoco statunitense di origine spagnola José Andrés, in collaborazione con l’ong Open arms, è arrivata davanti a Gaza e ha scaricato duecento tonnellate di generi alimentari.


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Questo articolo è uscito sul numero 1555 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati