06 aprile 2015 13:33
Dal progetto Beijing silvermine. (Thomas Sauvin )

Thomas Sauvin è un francese che vive a Pechino. Nel maggio del 2009 ha incontrato un netturbino, o meglio, uno di quei raccoglitori altamente specializzati che nel mondo in via di sviluppo differenziano l’immondizia per rivenderla un tanto al chilo. C’è chi si concentra sulla plastica, chi sulla carta, chi sul rame. Xiao Ma rivendeva il nitrato d’argento che riusciva a recuperare dopo aver sciolto nell’acido lastre ortopediche, cd e negativi. Accettò di vendere al fotografo i negativi e da allora i due ripetono questo scambio ogni mese.

Così Thomas ha avuto accesso a oltre mezzo milione di foto ricordo di cinesi comuni, scattate tra il 1985 e il 2008 (guarda la gallery). Raccontano gli anni in cui la Cina si è aperta all’occidente e al mercato. Il ventennio in cui si sono cominciate a diffondere le macchine fotografiche, prima che il digitale sostituisse completamente l’analogico.

Thomas Sauvin ci accoglie nel suo studio tra gli hutong, i vicoli che separano le case a un piano tipiche della vecchia Pechino. “Non m’interessano l’inquadratura, il valore artistico o il grado di conservazione dei negativi, ma i dettagli. Se avessi cercato un riferimento iconografico nelle case dei cinesi degli anni sessanta e settanta ne avrei avuto uno solo: Mao Zedong. Ma vent’anni dopo era concesso averne altri. Quali? Ho preso tutte le foto di interni domestici in cui compariva un poster. Le ho guardate tutte insieme e ho scoperto che Marilyn Monroe andava per la maggiore. Al secondo posto c’era James Dean, seguito da Sylvester Stallone. L’avresti mai detto?”.

Sono quasi sei anni che Thomas passa almeno due ore ogni giorno a sfogliare il suo materiale. Prima lavorava per i principali festival di fotografia del paese e comprava le opere dei fotografi contemporanei cinesi per i collezionisti occidentali. A un certo punto, però, si è stufato. Non sopportava più l’ego dei fotografi e il riflesso incondizionato che lo portava a considerare un’infinità di problemi prima di dare valore artistico a uno scatto: prezzo, possibili acquirenti, stampa, spedizione e così via. Allora ha deciso di dedicarsi alla fotografia amatoriale e ha cominciato a cercare online.

“Non era un’idea geniale, ma pensavo di poter trovare materiale interessante. Spesso le persone comuni stampano le foto e si dimenticano dei negativi. Pensano che il valore sia nella stampa”. Presto si è reso conto che su ogni blog o forum che consultava, tra i commenti compariva un piccolo annuncio pubblicitario: “Se avete negativi, contattatemi. Sono Xiao Ma e questo è il mio numero di telefono”. Pensava di aver trovato un concorrente, ma quando lo chiamò scoprì che Xiao Ma raccoglieva negativi per scioglierli nell’acido e recuperare il nitrato d’argento che avrebbe poi rivenduto agli impianti chimici. Fa questo lavoro da quindici anni, ma da più di cinque salva i negativi per rivenderli a Thomas.

“Ogni mese mi porta una ventina di chili di negativi, più o meno ventimila immagini. All’inizio me li vendeva a 28 renminbi (quattro euro) al chilo, ora il prezzo è arrivato a 75. È aumentato del 300 per cento, ma il nostro appuntamento mensile è sempre un momento meraviglioso. Xiao Ma è felice perché pensa che sto pagando uno sproposito per quel materiale, io perché penso che non abbia prezzo”. Xiao Ma non è in grado di apprezzare il valore storico di quelle immagini. E neppure Xiao Wang, il ragazzo che ogni mese gli restituisce, scansionate e catalogate in un hard disk, le novemila immagini che ha scelto. Per loro sono ricordi recenti, comuni e senza valore.

Non per Thomas il cui ufficio è pieno di cornici, ritagli di foto d’epoca, campionari di tessuti degli anni settanta, album ricordo di gente comune, diari fotografici di terapie psichiatriche e catalogazioni di fossili. Le mensole sono stracariche di prove di stampa, libri e foto d’archivio. Si ha l’impressione di trovarsi nel regno di un collezionista: tutto è disposto in un evidente ordine di cui ci sfuggono le regole. Thomas parla ininterrottamente mostrandoci pezzi della sua collezione, le raccolte a cui ha lavorato e quelle che si appresta a pubblicare. “Non so più se quello che sto facendo è semplice collezionismo, uno studio sociologico su un periodo di grandi trasformazioni o una ricerca sull’uso del mezzo fotografico in Cina. Ormai ho più di 655mila immagini. Comincia a emergere in maniera organica un universo visivo proprio di un’epoca”.

L’archivio di Thomas offre un punto di vista inedito sulla recente storia cinese. Una storia che nella patria della storiografia non è mai stato scritto. È “la storia cinese scritta dai comuni cittadini”, una storia raccontata dal basso. “Il 75 per cento dell’archivio è sugli anni novanta. Quella è la decade. Negli anni ottanta i rullini coprono archi di tempo lunghissimi, a volte un intero anno. Ma dalla fine degli anni novanta si ha l’impressione che 36 scatti non siano sufficienti a documentare neppure una decina di minuti”. La crescita economica e la mobilità sociale di quegli anni hanno favorito la rapida diffusione di macchine fotografiche economiche e di rullini.

Dal progetto Beijing silvermine. (Thomas Sauvin )

Cosa si fotografa? Niente di speciale. Si immortalano gli amici, i viaggi e i primi acquisti. Se alla fine degli anni ottanta le donne posano accanto ai loro nuovi frigoriferi, all’inizio dei novanta il primo McDonald’s di Pechino più che un fast food è una meta turistica. E Ronald McDonald’s, il pagliaccio che lo rappresenta, una statua con cui farsi foto ricordo. “Non sono mai andato in cerca di foto di donne in posa accanto al loro frigo o di foto con Mr. McDonald’s. Ne trovi una e pensi sia divertente, poi ne trovi un’altra e così via. Quando arrivano a essere cinquanta o sessanta scatti simili capisci che quello che hai tra le mani è la testimonianza di una sorta di fenomeno sociale”.

Ne emerge la Cina che si apre all’occidente e al suo modello economico, un paese le cui velleità politiche sono state represse nel sangue di Tian’anmen e sostituite con il consumo e uno stile di vita più edonista. È la Cina dei primi parchi a tema, dei karaoke, delle cravatte e delle messe in piega. Le gite, i matrimoni, la nascita di un figlio e gli eventi speciali diventano improvvisamente momenti da immortalare. A fotografare e a farsi fotografare sono i primi cinesi da generazioni che riescono a godere del tempo libero. Sono gli stessi che comprano le prime tv, i primi frigoriferi e i telefoni fissi. E sono i primi a viaggiare all’estero. In quelle foto si mostra una Cina che ha appena abbandonato l’utopia dell’egualitarismo per buttarsi con entusiasmo nell’era del consumo. Una Cina che ha da poco smesso di dire “noi” e comincia a mettere in evidenza l’“io”. Ma non sono i singoli su cui si concentra il nostro collezionista. Nonostante sia entrato in possesso dell’intera storia fotografica di alcuni dei personaggi ritratti, nelle sue selezioni non troverete mai la stessa persona ritratta. “Sarebbe sminuire il valore di questo progetto. La sua potenza, è evidente, è la quantità. È questa che fa di Beijing silvermine un progetto universale. Queste foto non raccontano più storie personali, ma la storia di una città e due decenni ”.

Thomas pensa che la destinazione naturale della sua collezione sia un museo o una fondazione. L’importante è che i negativi rimangano in Cina. Una miniera da poter esplorare nuovamente in futuro, forse con occhi diversi. Un materiale che, come l’argento, manterrà le sue caratteristiche intrinseche nonostante lo scorrere del tempo e l’ossidazione superficiale.

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