20 novembre 2015 15:41

Le autorità di Pechino hanno annunciato che in un’operazione di polizia sono state uccise 28 persone ritenute affiliate a un gruppo terroristico dello Xinjiang, regione a maggioranza musulmana nel nordovest della Cina. L’operazione condotta dalle forze dell’ordine era indirizzata verso i responsabili di un attacco alla miniera di carbone Sogan nella zona di Aksu, nel sudovest dello Xinjiang, avvenuto il 18 settembre scorso: sedici persone, tra cui cinque poliziotti, erano morte e diciotto erano rimaste ferite.

Le tensioni nello Xinjiang e le operazioni del governo cinese

Secondo Radio Free Asia, un organo di informazione indipendente finanziato dagli Stati Uniti, l’attacco alla miniera avrebbe causato più di 50 morti. Sempre Radio Free Asia aveva diffuso la notizia della recente operazione di polizia tre giorni fa: un precedente comunicato del ministero della sicurezza pubblica cinese, poi cancellato dal sito istituzionale, avrebbe annunciato l’uccisione di 17 persone, i tre uomini ritenuti responsabili dell’attacco alla miniera, Tursun Jume, Musa Toxtiniyaz, e Memet Eysa, e i loro familiari. Ci sarebbero stati anche tre bambini tra gli uccisi.

Nello Xinjiang vivono circa dieci milioni di uiguri, una minoranza turcofona e musulmana. Secondo le autorità cinesi gli attacchi terroristici condotti negli ultimi anni nella regione sono stati organizzati da una frangia radicalizzata dei separatisti uiguri. Il 1 marzo del 2014 un commando dello Xinjiang ha ucciso 31 persone in una stazione di Kunming, nel sud della Cina. Il 23 maggio dello stesso anno 39 persone sono morte in seguito a un attentato a Ürümqi, capoluogo dello Xinjiang. Successivamente il governo aveva lanciato un’operazione contro i “gruppi terroristici” e a maggio ha annunciato di averne smantellati 181: decine di arrestati sono stati condannati a morte dopo processi sommari.

Pechino inserisce questo genere di operazioni nell’ambito della “guerra al terrore globale” lanciata dagli Stati Uniti dopo l’11 settembre 2001. I rapporti tra la minoranza musulmana e le autorità dello Xinjiang sono complicati dalle politiche di Pechino nella regione, a cominciare dall’immigrazione di massa di cinesi han nello stato, un tempo abitato in gran parte da uiguri, che ha ribaltato i rapporti demografici con gravi conseguenze socioeconomiche e un aumento dell’esasperazione della minoranza.

Le reazioni dopo la morte di un cittadino cinese ucciso dall’Is

Il 19 novembre il governo di Pechino ha confermato l’uccisione di un cittadino cinese da parte del gruppo Stato islamico (Is), dopo che Dabiq, la rivista in inglese dei jihadisti, l’ha annunciata. Si tratta della prima vittima cinese del gruppo jihadista. Fan Jinghui, 50 anni, è stato fucilato insieme al norvegese Ole Johan Grimsgaard-Ofstad, 48 anni, anche se non si sa quando e dove sia avvenuta l’esecuzione dei due ostaggi, per la cui liberazione i jihadisti avevano chiesto un riscatto. A settembre il governo cinese aveva diffuso la notizia del rapimento di un cittadino cinese da parte del gruppo Stato islamico e il ministero degli esteri aveva attivato un meccanismo di emergenza, di cui non si conoscono i dettagli, per provare a salvarlo.

Secondo Radio Free Asia, le discussioni online sia sugli attentati di Parigi sia sull’uccisione di Fan Jinghui non hanno subìto censure. Nel caso di precedenti attacchi terroristici in altri paesi, un firewall impediva il diffondersi delle notizie. Ora sui social network cinesi si trovano teorie cospiratorie su rapporti dell’Unione europea e degli Stati Uniti con l’Is e scetticismo sulla risposta del governo cinese alla cattura e all’uccisione di Fan. Alcuni commenti invece esprimono il timore che a Pechino succedano attacchi simili a quelli di Parigi e altri invocano attacchi contro le minoranze musulmane cinesi come forma di rappresaglia.

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