All’inizio mi sembrava impossibile: “In Canada uccidere le donne indigene è un’abitudine. Ed è legato al processo di colonizzazione”. Sarà un’esagerazione, pensavo. I canadesi sono brave persone, non permetterebbero mai un simile orrore.

Poi però i pezzi del puzzle hanno cominciato ad andare al loro posto. Ho scoperto che le donne indigene vivono nei quartieri più poveri delle città canadesi, e che molte di loro sono tossicodipendenti e si prostituiscono. Sono un bersaglio facile, ma anche strategico, perché trasmettono la cultura indigena ai loro figli. I bianchi si sentono minacciati dai nativi, che rivendicano la terra e le risorse naturali.

Dall’inizio degli anni novanta più di seicento donne sono state assassinate o sono scomparse. La maggior parte di loro erano indigene. In proporzione, è come se fossero scomparse 20mila donne bianche. La storia di Robert Pickton è stata una delle poche a conquistare le prime pagine dei giornali. Nella sua fattoria sono stati trovati i resti di alcune donne. Il caso era talmente eclatante che le autorità non hanno potuto insabbiarlo. Pickton è stato condannato per l’omicidio di sei donne, ma probabilmente ne ha uccise una cinquantina.

Secondo l’associazione delle donne indigene del Canada, la polizia non si è mai impegnata per arrestare e punire i responsabili. Improvvisamente il legame tra gli omicidi delle donne indigene e la colonizzazione non mi sembra più campato in aria.

*Traduzione di Andrea Sparacino.

Internazionale, numero 919, 14 ottobre 2011*

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