17 dicembre 2014 16:18

Il 16 dicembre Google news ha chiuso il suo servizio in Spagna. Con questa decisione, annunciata a inizio dicembre, il motore di ricerca vuole protestare “contro la nuova legge sulla proprietà intellettuale, che prevede un diritto di compensazione economica irrinunciabile per gli editori di notizie da parte degli aggregatori che indicizzano e riprendono i loro contenuti”, anche quelli che, come Google news, non contengono annunci pubblicitari, spiega Público. La Spagna diventa così “il primo paese del mondo che chiude questo servizio”, osserva il sito spagnolo.

Il governo “ritiene che la decisione di chiudere Google news in Spagna è prematura, poiché la compensazione economica che secondo la legge gli aggregatori dovranno pagare agli editori”, la cosiddetta “Google tax”, che entrerà in vigore a gennaio, “deve comunque essere negoziata da entrambe le parti”.

E la sorpresa è arrivata proprio da quegli stessi editori che avevano fatto lobbying perché la legge fosse approvata: l’Associazione spagnola degli editori di giornali (Aede) ha fatto marcia indietro, dichiarando che la chiusura di Google news Spagna potrebbe avere un impatto negativo sulla stampa spagnola e ha sollecitato l’intervento del governo e delle autorità di regolamentazione affinché il sito continui a funzionare. In sostanza, l’Aede vuole che il governo costringa Google news a rimanere aperto e a pagare la “Google tax”, “in cambio del privilegio di fornire ai mezzi d’informazione traffico prezioso”, come scrive Mike Elgan su Computerworld.

Le legge spagnola si ispira a quella votata nel 2013 dalla Germania, che pure lascia maggiore spazio al negoziato con gli editori. Eppure anche in Germania Google ha rifiutato di pagare e ha anzi sporto denuncia, ritirando tutti i contenuti da Google news. Aspettando che la giustizia si pronunci, ha però obbligato le pubblicazioni che volessero tornare su Google news a iscriversi nuovamente, precisando che si trattava di un’opzione “volontaria”, spiega ancora Público. Persino il potente gruppo Springer, che aveva tentato di resistere, ha finito per cedere.

Appare quindi curioso che, come riferisce Abc, “il giorno stesso in cui Google ha annunciato la chiusura di Google news Spagna gli editori dei mezzi d’informazione tedeschi hanno chiesto al governo di Angela Merkel di rafforzare la legge tedesca sulla proprietà intellettuale per difendere i contenuti rispetto a Google secondo il modello spagnolo”.

La vicenda spagnola è l’ultimo atto di quella che Le Monde ha definito “la fronda europea contro Google” e Mike Elgan addirittura una forma di “molestia” che punta a “distruggerlo”. Per il quotidiano francese i mezzi d’informazione nazionali “accusano il motore di ricerca statunitense di usare i loro contenuti senza pagare. I suoi concorrenti su internet sospettano che approfitti della sua posizione dominante per promuovere i suoi servizi. Gli stati rimpiangono le mancate entrate, mentre il gruppo è un virtuoso dell’ottimizzazione fiscale. E i cittadini si preoccupano per la protezione dei dati personali”.

Il Belgio, per esempio, è stato uno dei primi paesi dove i mezzi d’informazione si sono mobilitati contro Google news: con una sentenza del 2007, confermata nel 2011, la giustizia belga ha dato ragione a Copiepresse, una società belga di gestione del copyright nota a chi lavora nel settore per la sua rigidità, e ha condannato Google a ritirare tutti i testi, le immagini e le rappresentazioni grafiche dei suoi membri, pena una multa di 25mila euro al giorno. Alla fine del 2012 però il Belgio e Google hanno raggiunto un accordo di cooperazione. Anche in Austria la nuova legge sulla proprietà intellettuale prevede simili forme di remunerazione.

Fa eccezione la Francia, con il suo modello di “cooperazione” tra Google e lo stato: dopo una lunga vertenza, il gigante di Mountain View ha accettato di finanziare dal 2013 un fondo per l’innovazione digitale della stampa, che ha aiutato 53 progetti e speso poco meno di 40 di 60 milioni di euro stanziati per tre anni.

La legge spagnola e il voltafaccia dell’Aede sono emblematici della schizofrenia degli editori europei in materia di diritto d’autore online. Alcuni di essi, tra cui molti sostenitori dell’intangibilità del copyright, hanno scritto al commissario europeo per l’economia digitale Günther Oettinger per esprimere la loro preoccupazione per la legge spagnola, chiedendo all’Unione europea di “garantire il libero movimento delle informazioni in Europa e il diritto fondamentale all’informazione”.

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