27 aprile 2012 17:14

L’affermazione dell’estrema destra nazionalista di Marine Le Pen al primo turno delle elezioni presidenziali francesi (con il 17,9 per cento dei voti e 6,4 milioni di elettori) è una sorta di ultima chiamata per l’Europa.

La leader del Front national ha fatto campagna non solo contro l’immigrazione, l’islam e per la sicurezza (come al solito) ma anche contro l’Unione europea, chiedendo il ritorno alle decisioni nazionali, a partire dal referendum popolare sull’uscita dall’euro.

Mentre anche a sinistra una certa tendenza antieuropea ha portato il Front de gauche di Jean-Luc Mélenchon all’11,1 per cento, l’avanzata del populismo - che rappresenta più di un terzo dell’elettorato francese e che, in questi giorni, si manifesta anche nei Paesi Bassi - comincia a spaventare i leader europeisti, e in particolare la cancelliera Angela Merkel. Il governo tedesco potrebbe così modificare la sua linea intransigente di politica economica e cercare formule per rilanciare la crescita, come auspicato anche dal Fondo monetario internazionale e dal governatore della Banca centrale europea Mario Draghi.

Però siamo ancora lontani dal cuore del problema. La crisi economica che ha ridato fiato agli avversari della costruzione europea non porta a un’Europa diversa, come potrebbe essere auspicabile, ma all’annientamento dell’idea stessa di Europa unita. Sono i fondamenti, le radici, dell’Unione a essere rimessi in discussione dal ritorno degli estremismi.

L’idea di Europa è nata nel dopoguerra per superare i nazionalismi e i totalitarismi (nazifascista e comunista). Non progredire a passo veloce nella costruzione politica, anche attraverso una democratizzazione delle istituzioni comunitarie, non vuol dire più come in passato trovare compromessi e aggiustamenti tra interessi nazionali e comunitari. Significa tornare indietro all’impotenza e alle minacce nazionaliste e xenofobe.

Si vede già nella corsa del presidente uscente Nicolas Sarkozy che, per attirare gli elettori di Le Pen, dice che “il mondo di oggi è un mondo che ha bisogno di frontiere”, rimette in discussione gli accordi di Schengen e nella Francia laica e multietnica esalta “le radici cristiane” del paese.

Il voto a Le Pen deve servire da ultimo campanello d’allarme. Anche in caso di vittoria, François Hollande non potrà pensare di galleggiare con i soli strumenti politici nazionali. Sarebbe condannato al fallimento. Avversario deciso della finanza mondiale (che è stato il suo bersaglio in campagna elettorale), sarà per esempio destinato alla sconfitta se la tassazione sulle transazioni finanziarie non sarà decisa a livello comunitario. In sostanza, se rimane a livello nazionale francese, Hollande rischia di non disporre degli strumenti adatti per applicare il suo programma, e dunque rischia di deludere le attese e, alla fine, di rafforzare ulteriormente gli estremismi.

In un mondo globalizzato dove, per esempio, il popolo francese o quello italiano rappresentano meno dell’1 per cento della popolazione mondiale, l’Europa è in mezzo al guado. Troppo avanzata per non essere il capro espiatorio delle frustrazioni dei popoli europei. Troppo in ritardo politicamente e senza la legittimità democratica sufficiente per contrastare realmente il senso di declino del continente, di perdita della capacità di decidere del proprio destino.

Il risultato di Marine Le Pen non è solo un avvertimento per i francesi. Mette tutti gli europei di fronte a una scelta sul trasferimento o no di sovranità all’Unione europea. E ormai il quadro è chiaro: o il salto o il caos.

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