17 aprile 2012 17:04

Arrivo la sera tardi in una piccola stazione ferroviaria della Toscana. Mi sento fortunato, perché c’è un taxi libero proprio lì davanti, perfino a quest’ora. Fare 15 chilometri a piedi di notte con la valigia non sarebbe stato divertente.

Dieci secondi dopo la partenza, senza che io avessi detto niente, il tassista comincia a lamentarsi per tutti gli stranieri che ci sono in Italia. Faccio presente che anch’io sono uno di questi tanti stranieri, ma sembra che per il mio interlocutore gli inglesi non contino. No, lui intende “quelli che rubano”. Incasso il complimento.

Intanto, mentre il tassista elabora le sue tesi, penso quanto sarebbe bello fare una lunga passeggiata in questa notte di luna piena. Anche con una valigia. Dovevo proprio beccare il tassista toscano razzista?

Però, siccome credo nella convivenza, e anche perché mi sento un po’ stanco, mi accingo a rispondere ai suoi argomenti in modo pacato e cordiale. Gli parlo, per esempio, delle badanti romene che in alcune zone d’Italia sono assunte a basso costo da comuni o Asl per assistere gli anziani, che altrimenti sarebbero totalmente a carico del sistema sanitario. Lui ribatte con la storia di una ristrutturazione condominiale affidata a una ditta che impiegava solo lavoratori romeni, o forse albanesi, “che non sapevano lavorare”. Alla fine si è dovuta fare una causa e ricominciare tutto il lavoro.

Avendo strappato al tassista l’ammissione che gli srilanchesi, per esempio, sono “meno peggio degli altri”, mi sento generoso e decido di fare anche io qualche concessione. Sento la mia voce dire che in effetti non sempre l’Italia attira i migliori elementi della comunità romena. Ma d’altronde ci sono delle mele marce ovunque, aggiungo.

Man mano, nel tentativo di essere civile e di non offendere l’uomo che mi sta ospitando nella sua macchina, mi accorgo che sto tradendo quello che penso veramente. Io penso, per esempio (ma non lo dico al mio tassista), che l’Italia ha bisogno di più stranieri, non meno. Che per diventare un paese più socialmente ed eticamente evoluto, l’Italia ha urgente bisogno, soprattutto, di dottori di origini romene, di magistrati con genitori senegalesi, di ingegneri e architetti con nonni turchi o filippini.

Si dice spesso che il fenomeno dell’immigrazione verso l’Italia è recente, ma non è tanto vero: ormai sono circa quarant’anni che in questo paese il bilancio netto migratorio pesa dalla parte dell’immigrazione. Eppure l’integrazione, a tutti i livelli, lascia ancora molto a desiderare. Mi ricordo ancora la prima volta che ho visto un carabiniere nero, a Roma. Era un evento, qualcosa di molto insolito. A Londra o a Parigi invece non avrei fatto una piega a vedere un poliziotto nero, oppure con lineamenti asiatici, oppure con il turbante tipico dei sikh (e finora un carabiniere nero l’ho visto solo quella volta, in servizio davanti all’ambasciata britannica. Sarà l’unico?).

Torno a riflettere sul mio incontro con il tassista toscano – che non era neanche un razzista militante, ma solo un razzista provinciale. Ma come dice un mio amico pachistano nato a Roma, i razzisti ignoranti sono quasi peggio di quelli militanti.

E continuo a pensare quanto sia curioso che le regole della convivenza civile a volte ci fanno dire delle cose incivili. È strano che il tentativo di trovare, da cittadino educato, un terreno comune, a volte ci fa entrare in una terra di nessuno.

Il giorno dopo mi arriva per email uno studio condotto dalla Fondazione Leone Moressa sulle imprese guidate da stranieri in Italia. Secondo il rapporto, queste imprese producono il 5,5 per cento per cento del valore aggiunto nazionale, cifra che in Toscana, la prima in classifica, arriva al 7,7 per cento. Gli stranieri in Italia creano ricchezza. Gli stranieri in Toscana creano ancora più ricchezza.

Peccato che non avevo queste cifre pronte da sbandierare durante la corsa in taxi quella sera. Ma non credo che avrebbe cambiato molto. Il mio tassista era confortato dagli stranieri che rubano. E i pregiudizi confortanti, come quello che scarica sull’immigrato il malessere di un paese in crisi, sono quelli più difficili da sradicare.

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