13 aprile 2012 16:27

Un tesoriere del partito indagato dalle procure, il grande leader che poche settimane dopo se ne deve andare coperto da accuse e critiche, il partito in subbuglio che in brevissimo tempo incorona un nuovo segretario: sembra la cronaca italiana di questi giorni, invece è la cronaca tedesca di dodici anni fa.

Anche la Germania ha vissuto diversi scandali che coinvolgevano il finanziamento ai partiti. Il più grave colpì Helmut Kohl, cancelliere della riunificazione, un anno dopo la sua sconfitta elettorale contro i socialdemocratici di Gerhard Schröder. Kohl si era già ritagliato il suo nuovo ruolo di elder statesman e il suo partito – la Cdu – lo aveva nominato presidente onorario.

Ma poi, come un fulmine a ciel sereno, la Cdu fu colpita dallo scandalo dei “fondi neri”, denaro accumulato fuori bilancio dal partito. Kohl dovette rinunciare al suo incarico di presidente onorario, anche l’allora capo del partito se ne dovette andare e alla guida della Cdu venne incoronata una giovane ex pupilla di Kohl: Angela Merkel.

Ricordo bene le reazioni dei mezzi d’informazione italiani, ma anche di molti amici tedeschi: “Allora tutto il mondo è paese”, era uno dei commenti più ricorrenti. Si notava una certa soddisfazione degli uni e un certo smarrimento degli altri nello scoprire che anche la Germania non era immune a quelle abitudini che in Italia pochi anni prima erano sfociate in Tangentopoli.

E non è stato neanche l’unico scandalo di questo genere a venire alla luce negli ultimi quindici anni della politica tedesca. Vari partiti, anche di governo, hanno dovuto sottostare a pesanti sanzioni in seguito a pratiche scorrette nella gestione dei loro bilanci e dei finanziamenti pubblici.

Ma forse sta proprio qui la differenza fondamentale tra Italia e Germania. I bilanci dei partiti devono essere trasparenti (ogni donazione sopra i diecimila euro va dichiarata con nome e cognome, ogni donazione sopra i 50mila euro va segnalata e resa pubblica immediatamente), il finanziamento pubblico è sottoposto a regole precise e ferree, il controllo viene esercitato a tre livelli: l’autocontrollo della politica, il controllo dei tribunali amministrativi e infine il controllo della opinione pubblica.

Il sistema tedesco e quello italiano hanno due cose in comune: i partiti prendono tantissimi soldi pubblici; e li prendono in base ai voti ottenuti. Ma la legge tedesca chiede ai partiti di autofinanziarsi per almeno il 50 per cento. Se attraverso tesseramento, donazioni e contributi dei parlamentari i partiti raggiungono la somma di due milioni di euro, ottengono altrettanto come finanziamento pubblico, anche se, calcolando i loro voti, avrebbero diritto a un rimborso di cinque milioni.

Inoltre c’è un tetto massimo annuo di circa 150 milioni al finanziamento pubblico. E infine qualsiasi scorrettezza viene sanzionata: le donazioni non dichiarate correttamente in bilancio finiscono nelle casse dello stato, di solito aumentate di una pesante multa. In effetti la Fdp – il partito liberale al governo con la Cdu di Merkel – pochi anni fa ha dovuto sborsare quasi cinque milioni di euro perché si erano scoperti dei trucchi contabili intorno a donazioni dichiarate in bilancio.

Il tutto è possibile perché la politica eserciti un autocontrollo già al livello del Bundestag, che formula i pareri sui bilanci. Se il presidente del Bundestag ha preso la sua decisione in merito a eventuali abusi da parte dei partiti, c’è un secondo gradino: quello della magistratura amministrativa. Infine c’è il terzo gradino: l’opinione pubblica, molto sensibile a queste materie.

Invece in Italia i partiti per anni si sono limitati a un blandissimo autocontrollo. Un sistema che sarebbe piaciuto a Helmut Kohl, che oggi infatti sarebbe presidente onorario della Cdu. Non è detto che la Germania disponga di politici più virtuosi, più corretti di quelli italiani: Kohl si rifiutò fino all’ultimo di rivelare i nomi dei generosi benefattori della Cdu che avevano alimentato i fondi neri, e si trincerò dietro un argomento omertoso: aveva dato la sua “parola d’onore” di tenerli segreti.

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