10 novembre 2012 09:30

Ogni tanto succede di leggere cose a dir poco sconcertanti sui giornali italiani, in particolare sulle pagine di cronaca nera. Quando una persona si suicida o muore in circostanze poco chiare, arrivano dei reporter con il pelo sullo stomaco che ci riservano righe come queste (uscite nella cronaca romana di Repubblica) a proposito di una madre che ha gettato sua figlia dal balcone e poi si è uccisa: “Pochi inquilini accettano di rompere il muro di diffidenza e ostilità verso i cronisti. Una giornalista televisiva viene insolentita con espressioni irripetibili, un uomo coi capelli bianchi e i baffi cerca di scagliarsi contro un fotografo, ma qualcuno mantiene la calma”.

Il sottotesto di queste parole è: il cronista ha il diritto di rompere le scatole (“diritto di cronaca”), di fotografare e filmare persone sconvolte e disperate.

Troviamo lo stesso atteggiamento sul Corriere della Sera dopo la morte di una ragazza ad Anguillara: “Fuori dalla chiesa un ragazzo vestito di scuro cerca di sfuggire ai cameramen. Assomiglia al fidanzato di Federica. Alla fine perde la pazienza, urla insulti e fugge, prendendo a calci i cassonetti”. Poi il cronista ci racconta, a modo suo, “le proteste per l’onnipresenza delle telecamere”: “‘Sciacalli’, grida una ragazza robusta mentre si allontana”.

Questi giornalisti non sono minimamente sfiorati dal dubbio che sono loro a insolentire, a scagliarsi violentemente contro le persone, a non essere capaci di accettare un no detto con calma. Si offendono, forse sinceramente, quando il congiunto di un morto non se la sente di prestare la sua faccia a un bel servizio pruriginoso, di rispondere a domande che spesso mancano di tatto e rispetto. Chi non sta a questo gioco viene dipinto come una persona diffidente, ostile verso i mezzi d’informazione. E se, dopo aver negato più volte l’assenso a essere filmato, perde la pazienza, allora parte la reprimenda: “espressioni irripetibili”, “insulti”, perfino annotazioni estetiche sulla “ragazza robusta”.

“Robusto” è invece questo modo di intendere il lavoro giornalistico: si parte dalla pretesa che spetta al giornalista definire in perfetta solitudine le regole del gioco, mentre le persone di cui parla sono dei semplici oggetti che devono “mantenere la calma”, cioè parlare docilmente all’intruso. Ma questi reporter dai modi spicci sanno essere allo stesso tempo persone assai sensibili, quasi fragili: sono sdegnati e offesi quando qualcuno gli nega il sacrosanto diritto di invadere lo spazio altrui, quando qualcuno avanza la pretesa, assurda agli occhi dei cronisti, di decidere quando e con chi parlare.

Lo stesso riflesso condizionato è scattato in tutt’altro ambiente: verso il Movimento 5 stelle e il suo caparbio rifiuto di mandare i suoi esponenti in tv. Va ricordato che quel movimento nei suoi primi anni di vita ha subìto un ostracismo quasi totale da parte di giornali e tv. Il V-day del 2007 – evento davvero clamoroso, data la sorprendente partecipazione – fu relegato ai margini dell’informazione. Lo stesso si può dire della lenta, inesorabile crescita dell’M5S e dei suoi primi successi elettorali, per esempio alle elezioni regionali del 2010.

Ma se allora la curiosità giornalistica era vicina a zero, adesso è a mille. Non potrebbe essere altrimenti, di fronte a un movimento che potrebbe avere più di cento deputati nel prossimo parlamento. Ma di nuovo sorprende che Grillo e i suoi siano accusati di lesa maestà (giornalistica) perché pensano di poter decidere loro in quali circostanze e con chi parlare. Non è un dovere costituzionale sedersi negli studi di

Ballarò e confrontarsi con i soliti ospiti, tendenzialmente sempre gli stessi, o partecipare a un dibattito stanco, spesso fin troppo prevedibile. Non è un atto eversivo evitare le poltrone di Lerner, di Santoro, di Gruber. È una decisione legittima che nulla ci dice sul tasso di democraticità di quel movimento, né in positivo né in negativo.

Tutt’altra questione è come il Movimento 5 stelle approdi a quelle decisioni. Un movimento che predica la trasparenza e la democrazia diretta non dovrebbe scandalizzarsi se qualcuno – militanti o giornalisti – fa delle domande scomode. Al momento sappiamo solo che Beppe Grillo “sconsiglia” di andare in tv aggiungendo: “Ma in futuro sarà vietato”. E la stizza di tanti giornalisti verso l’M5S trova sull’altro versante la stizza reciproca di tanti esponenti del movimento verso i giornalisti. Ma in futuro qualche domanda la dovranno accettare.

Sta qui la differenza con i fatti di cronaca nera di cui parlavo all’inizio, fatti in cui i giornalisti dovrebbero rispettare assolutamente la privacy delle persone colpite da una tragedia. Il caso del Movimento 5 stelle è un po’ diverso: è un fatto politico, e quindi pubblico per definizione.

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