“Disprezzo letale”. Con questa espressione comincia il durissimo rapporto con cui l’Alto commissariato per i diritti umani delle Nazioni Unite (Unhchr) denuncia la terribile situazione migratoria nel Mediterraneo e le pratiche illegali con cui l’Unione europea cerca di tenere lontani i migranti. Dal 2019 quasi 27mila persone sono state riportate in Libia, e i numeri continuano a crescere. L’anno scorso i respingimenti sono stati 10.300. Quest’anno è già stata superata quota ottomila.

L’Unhchr ritiene l’Unione europea responsabile di migliaia di morti. L’ultimo bilancio parla di 2.739 persone morte dal 2019 sulla rotta del Mediterraneo centrale, e la soluzione sembra sempre più lontana. La normativa europea prevede che le persone salvate in alto mare siano condotte in un porto sicuro, e i porti della Libia non lo sono affatto. I migranti intercettati dalla guardia costiera libica, finanziata con fondi europei, vengono riportati in uno stato fallito dove subiscono abusi e sfruttamento, ritrovandosi in condizioni di schiavitù. Anche la Grecia respinge i migranti verso la Turchia, violando le leggi sull’asilo e i diritti umani.

Da tempo l’Unione europea cerca di concordare un patto sulle migrazioni. La gravità della situazione non ammette più ritardi. Il presidente del consiglio italiano Mario Draghi vorrebbe che il tema fosse affrontato al vertice del 24 giugno. L’opposizione dei paesi dell’est a qualsiasi compromesso è inaccettabile. Tutti dovrebbero fare uno sforzo per creare un sistema che, come chiede Draghi, sia “equilibrato, efficace e soprattutto umano”. Non si possono blindare le frontiere a qualunque costo, ed è inaccettabile un sistema di accoglienza e ripartizione che trasformi i punti d’arrivo in campi di concentramento. Il sistema dovrà rispettare i diritti umani ed essere equo nei confronti di paesi come Spagna, Italia e Grecia, che subiscono la pressione maggiore. Il problema riguarda tutta l’Unione. Quando decidono di fuggire dalla guerra, dalla repressione e dalla miseria, i migranti non pensano al primo paese in cui approderanno. Pensano all’Europa. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1412 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati