Bonnefoy unisce uno straordinario senso del dettaglio a una sottile arte dell’ellissi per condurci “attraverso il lungo e lento fogliame degli eventi” in una “giungla di ricerche, dolori e nascite”. Tutto comincia intorno al 1870, nel Giura, quando un viticoltore di Lons-le-Saunier, rovinato dalla fillossera, decide di imbarcarsi per la California portandosi un vitigno. Per una coincidenza che si può chiamare destino, sbarca in Cile e, in seguito a un malinteso al servizio immigrazione, lo ribattezzano con il nome del suo luogo di nascita. Si inaugura così la stirpe dei Lonsonier, francesi esiliati in Cile. Tuttavia, il figlio Lazare si ricorda presto della patria, e combatte per la Francia nella prima guerra mondiale. Tutti i personaggi sono di un’umanità commovente. C’è Thérèse, la moglie di Lazare, che parla con gli uccelli; c’è la figlia Margot, alla quale uno sciamano mapuche insegna la levitazione, instillandole la passione per l’aviazione, e che parteciperà alla seconda guerra mondiale. Questo realismo magico, lontano dal pittoresco, sublima il romanzo. Ma Bonnefoy non si sottrae alla realtà più tragica. L’eredità evocata dal titolo è quella delle generazioni i cui desideri e dilemmi si trasmettono in viaggi a doppia direzione. Camille Laurens, Le Monde

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Questo articolo è uscito sul numero 1429 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati