Il nuovo straordinario romanzo di Damon Galgut traccia il declino di una famiglia bianca durante la transizione del Sud­africa dall’apartheid alla democrazia. Si apre nel 1986 con la morte di Rachel, un’ebrea di quarant’anni madre di tre figli, in una piccola fattoria fuori Pretoria. Il romanzo ruota intorno a una promessa che il marito afrikaner, Manie, le fece prima di morire davanti alla figlia minore Amor: che Manie avrebbe dato alla loro domestica nera, Salome, la proprietà della dépendance dove viveva. Ora che Rachel è morta, Manie sembra aver dimenticato e non vuole che glielo si ricordi. Né lo fa la sua famiglia bigotta, che considera la testarda insistenza di Amor sul fatto che Salome debba possedere la sua casa come il tipo di discorso che “ora sembra aver infettato l’intero paese”. Il rifiuto di Manie di mantenere la parola data cade come una maledizione sui suoi figli. Quattro sezioni, ambientate a intervalli di circa dieci anni, da Botha a Zuma passando per la coppa del mondo di rugby del 1995 e l’insediamento di Mbeki, prendono ciascuna il nome di un componente della famiglia, che poi morirà. La sorella bulimica, Astrid, infelicemente sposata e madre di due gemelli, diventa un’arrampicatrice sociale che, attirata dalla vicinanza al potere, tradisce due mariti; il fratello maggiore, Anton, vive all’ombra di un crimine commesso mentre era un militare di leva schierato contro i manifestanti neri durante la violenza degli anni ottanta. La narrazione in terza persona di Galgut sfreccia tra i personaggi, piombando sull’azione per descrivere le paure segrete di ciascuno.

Anthony Cummins, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1435 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati