La scena iniziale della Cronologia dell’acqua di Lidia Yuknavitch, in cui la figlia dell’autrice nasce morta, immerge il lettore direttamente nei temi del libro: la vita e la morte, legate in modo così fluido all’acqua. Questo libro è un labirinto di ricordi. La voce unica di Yuknavitch, che suscita emozione e inquietudine, vi coinvolgerà, condividendo qualcosa di universale: il dolore. I traumi della vita dell’autrice ci scuotono, così come la sua natura candida. Senza riserve, Yuknavitch si chiede come i ricordi alimentino il presente e se i suoi siano accurati o meno, cosa che tutti ci chiediamo quando riflettiamo. Ma lei si spinge oltre. Dopo aver descritto nei dettagli situazioni particolari, ne riconosce la falsità. È una caratteristica dello stile inventivo dell’autrice, capace di descrivere la gioia di nuotare tutto il giorno, tutti i giorni, all’età di sei anni, in una frase che si estende per più di dieci righe, e che finisce per togliere il respiro. Pochi scrittori potrebbero fare quello che fa Yuknavitch. Pochissimi dovrebbero anche solo provarci. È un’opera che non piacerà a tutti. Ma per le donne che hanno lottato con il lutto, in questa storia c’è una fluidità così reale che mette da parte i preconcetti, senza scuse, e ti chiede di sederti con te stessa.
Rebecca Curtis, The New Englander

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it

Questo articolo è uscito sul numero 1470 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati