Siamo prigionieri della geografia?

◆ Trattare i temi della geografia senza banalizzare (Internazionale 1489) è un’operazione rara e preziosa. Condivido il punto di vista di Daniel Immerwahr nel suo articolo, però vorrei segnalare alcune imprecisioni. Innanzitutto emerge una confusione nell’uso di termini delle discipline geografiche. La geografia infatti è suddivisa in branche: geografia fisica, geografia umana e geografia matematica. Non è scientificamente corretto parlare di geografia tout court, se nello specifico si sta facendo riferimento alla geografia fisica, ovvero quella che studia le caratteristiche fisiche della Terra, quindi i processi naturali, ambientali e climatici che possono condizionare le attività di tutti gli esseri viventi. È vero che l’autore sottolinea che la geografia contemporanea tiene conto anche del contesto storico e socio-economico di un territorio, ma se avesse fatto riferimento fin da subito al significato corretto di geografia umana, avrebbe evitato confusioni. Inoltre, nell’articolo la geopolitica è considerata un unico blocco di pensiero e di teorie scientifiche, invece è una disciplina che contiene al suo interno numerose correnti e filoni di pensiero. Gli esperti che ritengono che la geografia fisica sia una caratteristica determinante per le attività umane rientrano nella corrente di pensiero del determinismo ambientale (o climatico), ritenuta superata da gran parte dei geografi e degli studiosi contemporanei di geopolitica. È necessario precisare che determinismo ambientale (marginalmente citato nell’articolo) e geopolitica non sono assimilabili né possono essere usati come sinonimi.
Sandro Picone

A che serve l’arte?

◆ Mi ha incuriosito la riflessione sul ruolo politico dell’arte (Internazionale 1489), anche se in un primo momento mi sono chiesto se non si dovesse liberare, almeno l’arte, da uno scopo. Esiste però l’arte senza scopo? L’arte che “è” e basta? E a cosa serve? In sostanza, la domanda è rimasta la stessa: ammesso che serva, a che serve l’arte?
Simone Tamanini

A che punto siamo con la fusione nucleare

◆ La crisi energetica e soprattutto l’emergenza climatica hanno accelerato la ricerca di alternative (Internazionale 1489). Verrebbe da dire che non tutti i mali vengono per nuocere. La ricerca si fa più intensa. Speriamo che si trovino le soluzioni più idonee.
Flavio Vecchiatini

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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati