Un regalo natalizio: due libri. Uno s’intitola Le cose , uno Le perfezioni . Uno è stato pubblicato da Mondadori (1965) e poi da Einaudi (2011); uno da Bompiani in questo agonizzante 2022. Uno è di Georges Perec, tradotto da Leonella Prato Caruso, uno è di Vincenzo Latronico, scritto in un encomiabile italiano. Uno racconta di una coppia giovane, Sylvie e Jérôme, uno di una coppia giovane, Anna e Tom. Uno affonda nella modernità del 1965, uno nella postmodernità o altra etichetta del 2022. Cosa è successo? Latronico ha realizzato un audace, inventivo trasloco. Ha preso il congegno narrativo dentro cui vivono i due francesi e lo ha assegnato, riarredandolo, a due dispatriati d’oggi, autoesiliati a Berlino senza più alcuna marcatura nazionale, conta solo il grado di conoscenza dell’inglese. A leggere i due libri di seguito è un piacere rintracciare continuità e fratture politicosocioletterarie. Senza dire del godimento per come Latronico si serve, via Perec, della descrizione, arte appannata se non dimenticata; o per come sviluppa abilmente, sempre via Perec, una narrazione in terza persona plurale – la coppia: i due “io” congiunti – quando da decenni ci siamo abituati soprattutto al racconto in prima singolare. Lo specchio si rompe significativamente solo sul finale: Perec chiude su una citazione da Marx, Latronico, oggi, non trova niente di equivalente.

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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 14. Compra questo numero | Abbonati