Il 13 marzo l’amministrazione Biden ha dato il via libera alle trivellazioni per estrarre petrolio nella National petroleum reserve, un’area di proprietà del governo federale nello stato dell’Alaska. Il progetto, gestito dalla compagnia petrolifera statunitense ConocoPhillips, dovrebbe costare circa 7,4 miliardi di euro e prevede trivellazioni in un’area di 930mila chilometri quadrati. Secondo le stime dell’azienda, verranno estratti fino a 180mila barili di petrolio al giorno. “Buona parte della popolazione e dei politici locali si sono schierati a favore della decisione di Biden, perché sperano che le attività di estrazione portino fino a 2.500 nuovi posti di lavoro e facciano crescere l’economia”, scrive l’Atlantic. I gruppi ambientalisti e le popolazioni native hanno invece criticato il presidente, accusandolo di aver violato la promessa, fatta in campagna elettorale, di non autorizzare trivellazioni su terreni federali. Biden ha risposto dicendo che il paese avrà bisogno dei combustibili fossili in questa fase della transizione energetica e che la situazione si è complicata dopo l’invasione russa dell’Ucraina. Il giorno prima dell’annuncio sulla National petroleum reserve, nel tentativo di placare le prevedibili proteste degli ambientalisti, il presidente aveva annunciato divieti di trivellazione in altre aree dell’Alaska e nell’oceano Artico. La strategia non sembra aver funzionato.

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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati