Secondo un nuovo studio, l’industria chimica ha ostacolato per anni l’adozione di misure contro i pfas. Questi composti chimici, prodotti a partire dagli anni quaranta, sono resistenti e non si degradano facilmente. Per questo sono usati in molti settori, per esempio per produrre pentole antiaderenti, trattare tessuti e confezionare prodotti alimentari. Il problema è che si accumulano nell’ambiente e nella catena alimentare. Alla fine degli anni novanta è emerso che alcuni pfas hanno effetti nocivi per le persone e gli animali. Lo studio dimostra che due aziende, la DuPont e la 3M, conoscevano i rischi legati ai pfas già dagli anni settanta, ma si sono opposte a qualunque restrizione, tra cui l’adozione di soglie massime nell’acqua. Hanno fatto come l’industria del tabacco, sollevando dubbi sulle ricerche che denunciavano la tossicità dei pfas. Lo studio è basato sui documenti depositati presso la Ucsf chemical industry documents library. Intanto, la settimana scorsa tre aziende statunitensi – la Chemours, la DuPont e la Corteva – hanno accettato di pagare più di un miliardo di dollari di multa per aver contaminato l’acqua potabile. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1515 di Internazionale, a pagina 103. Compra questo numero | Abbonati