Spesso in Medio Oriente la gente muore solo perché una delle parti in conflitto ha bisogno di mandare un messaggio, di salvare la faccia o di mantenere intatto il proprio potere deterrente. Non serve neanche che ci sia una guerra in corso. Anzi: a volte è proprio a causa dei morti che la situazione rimane relativamente pacifica o quantomeno stabile. È dal 7 ottobre che lungo il confine tra Libano e Israele ci sono scontri a fuoco tra il gruppo libanese Hezbollah e l’esercito israeliano: muoiono miliziani di Hezbollah, soldati israeliani e civili di entrambe le parti. Così l’organizzazione libanese dimostra la sua solidarietà verso i palestinesi di Gaza e verso Hamas senza dover entrare in guerra con Israele. Una guerra che non vuole. I morti – suoi e israeliani – consentono a Hezbollah di evitarla. Cinico, ma vero.

Anche i missili che l’Iran ha lanciato nella notte tra il 15 e 16 gennaio hanno mandato un segnale. Cosa vogliono dirci i mullah? Come Hezbollah, dal 7 ottobre sono sotto pressione. Teheran ha giurato per anni di voler distruggere lo stato ebraico e ora che tutta la regione guarda a Gaza con orrore cosa fa? Poco o niente. Il regime iraniano lascia che i suoi alleati conducano una guerra ombra: mentre in Iraq e in Siria le milizie sciite lanciano ripetuti attacchi contro le basi statunitensi e gli huthi dello Yemen impazzano nel mar Rosso, Teheran si muove con discrezione. A Erbil, nel nord dell’Iraq, un missile iraniano ha colpito un’abitazione privata, uccidendo cinque persone. Eppure, di obiettivi nella città ce ne sarebbero molti altri: il consolato statunitense in costruzione, per dirne uno. Ma attaccandolo Teheran avrebbe lasciato intendere di volere un’escalation. I missili, invece, veicolano un messaggio diverso: l’Iran non vuole allargare il conflitto. Una guerra regionale in Medio Oriente si può evitare. ◆ sk

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Questo articolo è uscito sul numero 1546 di Internazionale, a pagina 17. Compra questo numero | Abbonati