Ci sono stati momenti in cui io, iraniana, queer e californiana come K, il protagonista, non ero certa di arrivare viva alla fine di questo libro. È un romanzo di sopravvivenza, di desiderio e d’amore, e in molti sensi è un moderno Ritratto dell’artista da giovane. K è il più piccolo di tre fratelli musulmani iraniani statunitensi; i suoi genitori sono immigrati e vivono in un piccolo appartamento della San Fernando valley. K è l’unico dei suoi fratelli ad avere un nome persiano difficile da pronunciare (il nome di un re, naturalmente) ed è anche l’unico a essere gay. Sappiamo che un giorno scriverà la storia della sua famiglia; lo vediamo negli anni dell’adolescenza in cui cerca semplicemente di sopravvivere. Khabushani si fida del suo lettore come uno scrittore consumato. Le sue descrizioni asciutte della vita difficile in una famiglia biculturale scandiscono i temi del libro in modo organico: il risveglio sessuale nonostante gli abusi, la vera solidarietà maschile a fronte dei riti di iniziazione delle gang di Los Angeles e la xenofobia e il razzismo che inquinano il suo sogno di fare lo scrittore a New York. I riferimenti alla cultura pop sono sia specifici della comunità iraniano-americana sia universali: dal guardare Basic instinct con tua madre che ti fa coprire gli occhi al diventare fan dei System of a Down perché il cantante “è l’unica rock star a somigliare a noi”. Con Khabushani ci siamo riusciti: finalmente abbiamo un libro che parla di noi.
Porochista Khakpour, The Washington Post

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Questo articolo è uscito sul numero 1558 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati