Ci saranno altre trasferte. Sono una quarantina le persone che fanno parte del comitato di sostegno a Vincenzo Vecchi. Il 24 marzo la corte d’appello di Lione, in Francia, ha stabilito che il mandato d’arresto europeo a suo carico non deve essere eseguito e che Vecchi non deve essere consegnato all’Italia. Nella sua lunga lotta è un punto a suo favore.

L’Italia vuole che Vecchi sconti una condanna a quasi dodici anni di carcere emessa nel 2009 dalla corte d’appello di Genova. Secondo la giustizia italiana, Vecchi è colpevole di “devastazione e saccheggio” durante le manifestazioni contro il G8 del 2001 nel capoluogo ligure.

Vincenzo Vecchi a Lione, il 24 febbraio 2023 (Olivier Chassignole, Afp/Getty)

I sostenitori di “Vincent” sono abituati a percorrere in lungo e in largo la Francia per sostenere il loro amico. Affittano un’auto e raggiungono le aule di tribunale per fare sentire la loro protesta. “A Lione, in occasione dell’udienza di febbraio, erano circa trenta, e un pullman era arrivato dall’Italia”, ricorda Jean-Baptiste Ferraglio. “Anche alla corte di cassazione, a Parigi, c’erano un pullman e varie auto. A Rennes abbiamo organizzato una manifestazione senza autorizzazione. Al tribunale di Angers avevamo quaranta posti per noi in aula. Sono migliaia di ore di udienze, chilometri e chilometri di trasferte. È un nostro amico. Non ci dormiamo la notte. Questa è stata la prima considerazione, ma a poco a poco la questione si è allargata: siamo partiti dall’amicizia con Vincenzo e siamo arrivati a una visione più ampia. Questa è anche una lotta politica. Una legge liberticida come questa può essere pericolosa”.

Concorso morale

Uno dei motivi della rabbia dei sostenitori di Vecchi (che non vuole parlare con la stampa) è proprio la legge in base alla quale è stato condannato. Un testo del 1930 approvato sotto il fascismo. Il reato di devastazione e saccheggio prevede che una persona possa essere punita anche solo per aver partecipato a una manifestazione, senza dover dimostrare che abbia preso parte ad azioni violente o a danneggiamenti. Gli avvocati di Vecchi assicurano che il loro cliente non ha aggredito nessuno e che i fatti che gli sono imputati sono di scarsa importanza: aver strappato dei fiori dalle aiuole, dato alle fiamme uno pneumatico, rubato degli oggetti in un cantiere per costruire una barricata, preso parte alla distruzione di un’auto, bevuto da una bottiglia rubata in un supermercato e partecipato all’assalto della filiale di una banca.

Un’analisi che l’Italia non condivide. “Il titolo della legge è lo stesso, ma non si tratta di una norma fascista. Sono cambiate molte cose. Questo genere di accuse è usato soprattutto in caso di manifestazioni”, sottolinea un magistrato italiano che conosce il caso. “Il problema è che i francesi non capiscono il concetto di ‘concorso morale’, previsto anche nei reati compiuti dalle mafie”. Si tratta di una nozione di diritto molto particolare: per alcuni reati si considera che oltre all’autore materiale del reato ce ne possa essere anche uno “morale” che fornirebbe un “impulso psicologico” alla sua realizzazione. Il magistrato italiano con cui ci siamo confrontati ha però aggiunto: “Nel caso di Vecchi non si tratta solo di concorso morale, ma anche di azioni che ha commesso in prima persona”.

“Non sapevamo perché era venuto a Rochefort. Sapevamo solo che aveva lasciato l’Italia per una storia andata male”, ricorda Laurence Petit

Valore simbolico

La difesa di Vecchi sottolinea invece che i fatti contestati si svolsero in un contesto particolare: quello del G8 di Genova, a luglio del 2001. In quelle giornate d’estate ci furono scontri molto violenti tra i noglobal e la polizia. In tutto seicento manifestanti rimasero feriti. Uno di loro, Carlo Giuliani, fu ucciso da un proiettile sparato da un carabiniere.

Una notte gli attivisti che dormivano nella scuola Diaz (circa trecento persone) furono sorpresi nel sonno dai poliziotti italiani che li picchiarono e arrestarono, proseguendo con i maltrattamenti anche durante la custodia. Secondo Amnesty international la repressione di quelle manifestazioni è stata la “più grave violazione dei diritti umani e democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Il caso di Vecchi ha quindi una valenza simbolica per l’Italia e per una parte della sinistra italiana e francese. È l’ultimo manifestante condannato per gli eventi di Genova ed è latitante dal 2012. Quell’anno arrivò in Bretagna facendosi chiamare Vincent. Si stabilì a Rochefort-en-Terre, nel Morbihan. In questo paese di 637 abitanti c’era un luogo in cui s’incontravano tutti gli attivisti locali, il Café de la pente. Frequentando quel bar s’integrò nella vita del posto.

“Le relazioni con il resto del paese si sono sviluppate senza troppe domande su chi era o sul suo passato. Vincenzo è di una discrezione assoluta. Non sapevamo perché era venuto a Rochefort. Sapevamo solo che aveva lasciato l’Italia per una storia andata male”, ricorda Laurence Petit, uno dei punti di riferimento del comitato di sostegno. “Era un bel ragazzo, misterioso. Parlava pochissimo il francese”.

Poco a poco Vincent trovò il suo posto in questa piccola comunità, dove in tanti sono di sinistra e ambientalisti. Suonava il basso in alcuni gruppi musicali e dava una mano a organizzare il festival A travers chants. Si fece coinvolgere in diverse iniziative, anche sorprendenti. “Un giorno andammo a fare una perlustrazione per osservare le lontre e il loro habitat. Trascorremmo mezza giornata insieme su una canoa. Forse fu allora che l’ho conosciuto”, ricorda Petit. Il profilo di Vincenzo il bretone stona con quello descritto dalle autorità italiane che parlano di un black bloc. “È completamente falso, non lo è mai stato”, garantisce Petit.

Nell’agosto 2019, sette anni dopo il suo arrivo in Bretagna, Vecchi è stato arrestato. È stato in carcere a Rennes. I suoi amici del Café de la pente non riuscivano a crederci. “Siamo caduti dalle nuvole. Quel tipo diventato nostro amico era ricercato dalla squadra che si occupa dei latitanti”, prosegue Petit.

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Estradizioni bloccate

◆ Il 28 marzo 2023 la procura generale di Lione ha dichiarato che non ricorrerà in cassazione contro la sentenza della corte d’appello, che il 24 marzo aveva negato la consegna di Vincenzo Vecchi all’Italia. La corte ha ritenuto che il procedimento “costituirebbe un attacco sproporzionato al diritto e al rispetto della sua vita privata e familiare”. Sempre il 28 marzo la cassazione francese ha negato il ritorno in Italia di dieci persone, tra cui Giorgio Pietrostefani, accusato di essere il mandante dell’omicidio del commissario Luigi Calabresi, e l’ex brigatista Marina Petrella. Tutti con condanne definitive per fatti di sangue. Secondo la corte, sono stati giudicati colpevoli “in contumacia senza aver potuto difendersi”. Afp, Domani


Subito in paese si sono mobilitati in segno di solidarietà. Presto si sono uniti diversi personaggi famosi, tra cui la parlamentare europea Eva Joly e lo scrittore francese Éric Vuillard. Molte persone si sono schierate dalla parte dell’attivista italiano che conduce una vita tranquilla in Francia, dove vive con la compagna e due figli. All’uscita dal carcere, tre mesi dopo il suo arresto, ha trovato ad attenderlo un contratto a tempo indeterminato in una cooperativa con diciotto dipendenti che realizza costruzioni in paglia e legno.

Per lo stato italiano la storia è un’altra. Sono state impiegate molte risorse per trovare Vecchi: intercettazioni, sorveglianza di ex amici, attivisti e familiari. Hanno trovato le sue tracce in Savoia, dove trascorreva una settimana di vacanze con la sua ex compagna e la figlia, che vivevano a Milano. L’Italia ha spiccato un mandato d’arresto nei suoi confronti e chiesto alla Francia che fosse consegnato per fargli scontare la condanna. A quel punto è iniziata una lunga vicenda giudiziaria.

Gli avvocati di Vecchi hanno contestato la regolarità del mandato d’arresto europeo nei suoi confronti. La corte d’appello di Rennes, nel novembre 2019, gli ha dato ragione e ordinato la scarcerazione di Vecchi. La procura ha fatto ricorso in cassazione. L’alta corte ha annullato la sentenza di Rennes e rinviato il caso alla corte d’appello di Angers. Quest’ultima si è pronunciata contro la consegna di Vecchi all’Italia e si è opposta anche all’esecuzione della pena in Francia. Ma c’è stato un nuovo ricorso e la corte di cassazione ha chiesto che la Corte di giustizia dell’Unione europea si pronunciasse su tre questioni pregiudiziali relative alla doppia incriminazione e all’applicazione del principio di proporzionalità.

Queste questioni tecniche sono essenziali per capire il caso di Vecchi. Con l’espressione “doppia incriminazione” s’intende la necessità di stabilire se l’esecuzione del mandato d’arresto europeo richieda l’esistenza della stessa fattispecie di reato nei due paesi coinvolti. In parole povere: il reato italiano di devastazione e saccheggio esiste in Francia? Ha gli stessi elementi costitutivi? È punito con le stesse pene? La Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata a favore di una visione flessibile della doppia incriminazione. Secondo la giurisdizione europea, non è necessaria la corrispondenza perfetta tra i reati. “Questa decisione non sorprende. L’idea è quella di rafforzare l’efficacia del mandato di arresto europeo”, spiega Chloé Fauchon, dottoranda di diritto e autrice di un articolo sul caso Vecchi. “L’obiettivo è accelerare la cooperazione. Contrariamente alle richieste di estradizione, il mandato d’arresto europeo elimina la dimensione politica. È una procedura quasi automatica”. Il procedimento, entrato in vigore una ventina d’anni fa, si basa sull’idea di creare uno spazio giudiziario europeo all’interno del quale la cooperazione giudiziaria sia efficace e gli stati si fidano gli uni degli altri.

Diverse possibilità

Nel caso di Vecchi il problema è che la corte di cassazione ha condiviso l’analisi della Corte di giustizia dell’Unione europea e ha annullato la decisione dei giudici di Angers, rinviando il caso alla corte d’appello di Lione, che il 24 marzo si è espressa a favore di Vecchi.

Paul Methonnet, che rappresenta Vecchi davanti alla corte di cassazione, ricorda che, in caso di esecuzione di un mandato d’arresto europeo, il ricorso ha effetto sospensivo. Anche se la corte d’appello di Lione avesse chiesto l’esecuzione del provvedimento, Vecchi non sarebbe andato in carcere. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 39. Compra questo numero | Abbonati