Nelle ultime settimane la Russia ha aumentato le vendite di petrolio sfidando il suo isolamento nei mercati energetici mondiali. Molte consegne avvengono attraverso petroliere con “destinazione ignota”. Secondo il sito TankerTrackers.com, ad aprile le esportazioni di petrolio in partenza dai porti russi e dirette verso
paesi dell’Unione europea sono aumentate fino a una media di 1,6 milioni di barili al giorno. La Kpler, un’azienda specializzata in dati sul mercato delle materie prime, calcola invece che ad aprile si è arrivati a 1,3 milioni di barili al giorno, rispetto al milione registrato a marzo.

Dietro c’è un mercato opaco che nasconde la provenienza del petrolio. I compratori temono che continuare a fare affari con un governo accusato di crimini di guerra dai paesi occidentali possa danneggiare la loro reputazione Tanker­Track­ers.com sostiene che nella prima metà di aprile siano stati caricati più di 11,1 di milioni di barili su petroliere senza una rotta prestabilita. Prima dell’invasione il fenomeno praticamente non esisteva.

Un motivo per nascondere la provenienza del petrolio russo è che c’è un disperato bisogno di greggio per far funzionare l’economia e impedire che il prezzo del carburante aumenti ancora di più. Le aziende e gli intermediari nel settore del petrolio, però, vogliono agire con discrezione, evitando di far sapere che attraverso queste transazioni finanziano la macchina da guerra del Cremlino.

Il ricorso alla destinazione ignota prevede che, una volta al largo, il petrolio sia trasferito su navi più grandi. Qui il greggio russo è mischiato ad altro petrolio, confondendone l’origine. È un vecchio trucco che ha permesso le esportazioni da paesi sottoposti a sanzioni, come l’Iran o il Venezuela. Alla metà di aprile, al largo delle coste di Gibilterra, la nave Elandra Denali ha ricevuto tre carichi da petroliere salpate dai porti di Ust-Luga e Primorsk, in Russia. Dai registri di bordo risulta che la nave era partita da Incheon, in Corea del Sud, alla volta di Rotterdam, nei Paesi Bassi, un importante centro per la raffinazione del greggio. Ora sul mercato ci sono nuove varianti di prodotti raffinati, la miscela lettone e quella turkmena, che secondo gli esperti contengono grandi quantità di petrolio russo.

Sofferenze eccessive

Gli Stati Uniti, il Regno Unito, il Canada e l’Australia hanno proibito le importazioni di petrolio dalla Russia. L’Unione europea, che compra dal Cremlino il 27 per cento del greggio di cui ha bisogno, ha discusso l’opportunità di un embargo, ma non è ancora passata all’azione, in bilico tra il desiderio di isolare la Russia e quello di non danneggiare troppo la propria economia. Tuttavia, nonostante l’assenza di sanzioni, molte aziende energetiche europee si sono imposte dei limiti nelle settimane successive all’invasione. In effetti, le esportazioni di petrolio russo a marzo sono diminuite. Ma ad aprile l’aumento di spedizioni verso l’Europa, sommato a quello verso destinazioni ignote, indica che alcune aziende hanno trovato il modo per aggirare gli ostacoli. “Se l’Unione europea rinunciasse completamente al petrolio russo sarebbe come se da domani il salario di un lavoratore si riducesse del 40 per cento, ma questa persona dovesse continuare a vivere come se nulla fosse”, afferma Giovanni Staunovo, analista del mercato delle materie prime per la banca svizzera Ubs. “Nel frattempo sul mercato il petrolio russo è offerto a prezzi scontati”. La varietà di greggio Urali, per esempio, costa tra i venti e i trenta dollari in meno rispetto al Brent. Prima dell’invasione costava al massimo uno o due dollari in meno.

Gran parte del petrolio russo continua a viaggiare verso destinazioni note. Ad aprile la quantità di barili diretti verso Romania, Estonia, Grecia e Bulgaria è più che raddoppiata rispetto a marzo. Sono aumentati sensibilmente anche i carichi verso i Paesi Bassi, il principale compratore in Europa, e la Finlandia. In vista di nuove possibili sanzioni, alcuni stanno accelerando gli acquisti, mentre altri dichiarano di rispettare accordi conclusi prima dell’invasione. “Il fatto che stiano comprando di più fa pensare che non lo stiano facendo solo per rispettare contratti di lungo periodo”, osserva Simon Johnson, economista del Massachusetts institute of technology. “Il punto è che si tratta di prodotto a basso costo. Finché non sarà istituito un embargo totale, si andrà avanti così”.

Nelle ultime settimane le principali aziende petrolifere e quelle d’intermediazione, tra cui la Shell, la Repsol, la Exxon Mobil e l’Eni, hanno noleggiato navi per trasportare il greggio dai terminal petroliferi russi sul mar Nero e sul mar Baltico verso i porti dell’Unione europea. È quanto sostiene Global witness, un centro studi che collabora con il governo ucraino. La Repsol ha dichiarato che le consegne ricevute di recente sono legate a contratti a lungo termine sottoscritti prima dell’invasione. La Shell, la Exxon e l’Eni sostengono che hanno trasportato petrolio del Kazakistan passando per un porto russo.

Il 7 aprile la Shell ha annunciato l’intenzione di rinunciare al petrolio russo, anche se era obbligata ad accettare le consegne di greggio previste da contratti siglati prima dell’invasione. L’azienda ha specificato che considera un prodotto di origine russa se le miscele contengono il 50 per cento o più di materia prima russa. Questo limite permette il commercio di prodotti come il diesel se contengono fino al 49,9 per cento di petrolio russo. Il 13 aprile il governo ucraino ha inviato una lettera di protesta alla Shell, definendo “deplorevole l’idea che una qualsiasi azienda possa continuare a finanziare la guerra di Vladimir Putin attraverso trucchi contabili”. Un portavoce della Shell ha risposto che “le misure restrittive che l’azienda si è imposta superano di gran lunga la portata di quelle decise finora dall’Unione europea”.

Bruxelles sta lavorando a un embargo, ma i tempi si sono allungati per aspettare l’esito delle elezioni francesi e a causa dell’opposizione della Germania. È probabile che una misura simile sarà attuata solo in modo graduale. Ma alcuni temono che gli intermediari stiano già escogitando dei modi per mantenere attivo il flusso del petrolio dalla Russia. “Anche se dovessimo arrivare a un qualche tipo di embargo da parte dell’Unione europea, si ricorderanno di sanzionare anche le petroliere? Perché è ragionevole aspettarsi un aumento dei trasbordi di greggio al largo”, afferma Johnson. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1459 di Internazionale, a pagina 106. Compra questo numero | Abbonati