Non importa che in Guinea il colpo di stato del colonnello Mamady Doumbouya contro il presidente Alpha Condé sia riuscito o meno. Né si dovrebbe dare troppo rilievo al fatto che molti guineani hanno applaudito e altri condannato il golpe del 5 settembre. Da ogni punto di vista, quello che è successo è stato un passo indietro per il paese e più in generale per l’Africa. La mania dei militari di irrompere sulla scena politica e le immagini dei leader caduti in disgrazia – un anno fa era toccato al presidente maliano Ibrahim Boubacar Keïta, oggi a Condé – non fanno onore al continente. Dimostrano l’arretratezza dei nostri paesi. E a cosa dobbiamo quest’umiliazione di fronte al resto del mondo? Innanzitutto a quegli stessi leader.

Il colpo di stato in Guinea è per molti versi il punto di arrivo di una crisi cominciata due anni fa, nella quale il presidente deposto ha molte responsabilità. È possibile che ad accelerare l’intervento delle forze speciali contro Condé siano stati dei dissidi interni all’esercito. E non si può negare che la crisi economica provocata dalla pandemia di covid-19 abbia aggravato lo scontento tra la popolazione. Ma è evidente che a infuocare la situazione sono state le dispute, scoppiate due anni fa, sull’opportunità che il presidente modificasse la costituzione per candidarsi a un terzo mandato, che ha poi ottenuto vincendo le elezioni dell’ottobre 2020.

Effetto contrario

Condé aveva perseguito quest’obiettivo con una tale determinazione da diventarne ostaggio. Respingendo ogni appello alla ragione, ha fatto di tutto per mettere fuori gioco chi cercava di ostacolarlo. Così facendo, senza volerlo, ha spianato la strada a chi lo ha rovesciato. I nuovi padroni della Guinea traggono la loro forza dalla zizzania che lo stesso Condé ha seminato. E, come spesso succede in questi casi, nessuno si è accorto che stava arrivando la sua fine. La storia si ripete. Ancora una volta il paese dovrà affrontare una transizione piena di incognite. È un enorme passo indietro per la Guinea, che il prossimo 2 ottobre festeggia 63 anni d’indipendenza. Di certo avremmo potuto e dovuto fare di meglio. Per molti anni Condé è stato un oppositore e ha incarnato un modello di governo alternativo alla dittatura: proprio per questo avrebbe dovuto evitare di diventare il protagonista di immagini come quelle che domenica scorsa hanno inondato i social network. Avrebbe dovuto lasciare il potere al momento dovuto, resistendo alla tentazione del mandato di troppo. Non cedere, come gli aveva raccomandato Kéléfa Sall, il defunto presidente della corte costituzionale, alle “sirene revisioniste”.

Purtroppo la tentazione è stata più forte. E si è visto che il potere di Condé non aveva fondamenta solide: lo testimonia la sconcertante facilità con cui è crollato il castello che si era eretto intorno. ◆ gim

Da sapere
Osservati speciali

◆Il 5 settembre 2021 a Conakry il colonnello Mamady Doumbouya, comandante delle forze speciali, ha annunciato di aver preso il potere, sospeso la costituzione, chiuso i confini e imposto il coprifuoco per mettere fine alla “corruzione, alle violazioni dei diritti umani e al malgoverno” del presidente Alpha Condé. Doumbouya ha rassicurato i partner internazionali, precisando che la nuova giunta rispetterà i contratti firmati sotto Condé. La Guinea è ricca di risorse minerarie, in particolare di bauxite, da cui si ricava l’alluminio. La notizia del golpe ha fatto salire i prezzi dell’alluminio e preoccupato le aziende produttrici in Cina e Russia, che dipendono dalla bauxite guineana. Bbc, Financial Times


Boubacar Sanso Barry _ è un opinionista del sito guineano Le Djely._

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Questo articolo è uscito sul numero 1426 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati